Il 30 gennaio 1948 il Mahatma Gandhi viene ucciso con tre colpi di pistola a New Delhi durante la preghiera del mattino. L'assassino è Nathuram Godse, un fanatico nazionalista indù, che accusa Gandhi di collusione con i musulmani. Quel giorno il premier, Jawaharlal Nehru, dice: "La luce se ne è andata dalle nostra vite, il buio ha prevalso ovunque".
Una lezione di vita
L'uccisione di Gandhi, al culmine di un ciclo di violenza interreligiose, è una macchia durevole. Sembra il tradimento dell'intera nazione indiana nei confronti di un leader politico e spirituale (il Mahatma, la Grande anima) a cui doveva molto. Ma la stessa statura morale del Mahatma faceva di lui un esempio irraggiungibile. Il grande diplomatico e romanziere Shasnu Tharoor commenterà: "La vita di Gandhi era la sua lezione. Era unico fra gli statisti del secolo per la determinazione con cui viveva secondo i suoi valori. In lui la personalità pubblica si fondeva completamente con il comportamento privato. Era un grande leader e al tempo stesso un filosofo che conduceva esprimenti su se stesso per applicare a sé i propri ideali. Rifiutava di perseguire la verità usando metodi non veri, come la violenza contro gli avversari". Il gandhismo, nella sua profondità, è un'eredità quasi impossibile oggi da onorare.
La forza della verità
"Il fachiro seminudo", secondo la definizione sprezzante di Winston Churchill, ha cambiato la storia del Ventesimo secolo. Nato nel 1869 a Porbandar, laureato in diritto a Londra, Gandhi, grazie all'istruzione anglosassone, entra a far parte di un'élite cosmopolita. La sua figura giganteggia sulle altre. Asceta, vegetariano rigoroso, appassionato studioso delle religioni in cui cerca una fede universale per l'umanità, per vent'anni si addestra alla lotta per i diritti civili difendendo gli immigrati indiani in Sudafrica. Fa politica in modo diverso, cambia le regole del gioco. Il suo principio, la satyagraha, affascinerà il mondo intero, ispirando le battaglie per i neri americani di Martin Luther King, la lotta all'apartheid di Nelson Mandela, il pacifismo del Dalai Lama. Satyagraha, che gli occidentali hanno tradotto con non violenza, in realtà significa forza della verità, l'idea cioè che i conflitti si debbano risolvere facendo forza sui valori comuni con l'avversario.
La violenza fatale
Rientrato in India nel 1915, Gandhi vi trasferisce i metodi di disobbedienza civile, scioperi fiscali, marce pacifiche, digiuni a oltranza. Gli inglesi ne sono spiazzati. Un trionfo è la protesta del sale, nel 1930, una marcia di popolo anti-tasse di 350 chilometri. La sua opera è feconda. Il 15 agosto 1947 l'India è indipendente. Gli inglesi accettano la Partizione in due Paesi: India e Pakistan. Scoppia la tragedia che insanguina una terra di indù e musulmani. Rivolte, pogrom, massacri, un milione di morti, una carneficina. Undici milioni di persone scappano in un esodo biblico. In mezzo a questa ferocia Gandhi si batte per la comprensione umana. La sua volontà resta indomabile, è contrario alla Partizione e si batte come un leone. Indù e musulmani hanno sete di vendetta e cerca, con la parola e l'esempio, di placarli. Predica la fratellanza. La Partizione è una sua sconfitta. "La morte sarebbe per me una liberazione gioiosa", dice. E il 30 gennaio 1948 il destino lo esaudisce.