Fabrizio De André muore la notte dell'11 gennaio 1999 alle due e trenta all'Istituto dei Tumori di Milano, dove è ricoverato per un tumore ai polmoni. Ai funerali, due giorni dopo a Genova, partecipa una folla di diecimila persone. A 11 anni dalla morte, l'amico Faber sopravvive, tenuto in vita da una passione che non si affievolisce e che produce dediche, libri, concerti, tributi. Un rimpianto profondo, un dolce e intimo legame che unisce gli estimatori sparsi in tutta Italia.
Vita e canzoni
La vita vale una sintesi, le canzoni meritano di essere ricordate. Nato il 18 febbraio 1940 in una famiglia della Genova bene, Fabrizio è un precoce controcorrente. Scarsa applicazione a scuola, studio del violino, folgorante incontro con la musica attraverso l'ascolto di Brassens, frequentazione degli amici Villaggio, Tenco, Bindi e Paoli, vita sregolata, un matrimonio borghese fallito, la nascita di Cristiano. E poi il folgorante successo della "Canzone di Marinella" interpretata da Mina, il decollo professionale, la paura del palcoscenico, la riservatezza, l'amore per Dori Ghezzi, il rapimento, l'amore del pubblico per le sue straordinarie canzoni. Nel '61 il primo 45 giri, nel '66 il primo album, nel ‘96 l'ultimo: "Anime salve". Le canzoni più note, che tutti abbiamo ascoltato e amato, sono: "La guerra di Piero", "La ballata del Michè", "La canzone di Marinella", "Il testamento", "Via del campo", "Bocca di rosa", "Andrea", "Il pescatore", "Preghiera in gennaio", "Smisurata preghiera".
Il poeta
De André è il poeta che canta i perdenti, i battuti, i solitari, le vite calpestate, la marginalità, la solitudine, il candore dei deboli, la struggente ricerca di riscatto, le figure dolenti più vicine a Dio e alla verità. Le sue canzoni, ispirate alla pietà, sono una poesia musicale che diventa coscienza civile, comprensione umana, preghiera laica, guerra alle ipocrisie, amore per coloro che il mondo lascia sul terreno, per quel ghetto di umanità che la società platealmente respinge.
Il personaggio
Uomo contro, in direzione ostinata e contraria, personaggio riservato, musicista colto, De André combina rabbia, sensibilità, pigrizia e genialità. Poetico e feroce, cultore della notte e del whisky, con una sua laicissima religiosità canta la ricerca dell'uomo, componendo poesie di puttane, assassini, emarginati, soldati morti, restituendo bellezza e dignità a esseri umani perduti e proponendo le sue canzoni con un bellissimo cuore di poeta, un bellissimo viso di signore dietro gli sfregi lividi dell'alcol e una bellissima voce levigata dalle sigarette. Una voce profonda, densa di vibrazioni antiche.
Addio
Se ne va a 59 anni, portando con sé i propri tormenti, le proprie utopie, la propria solitudine. "La morte - amava dire - è quella splendida malattia che guarisce dalla vita". "Dio di misericordia - è scritto in "Preghiera in gennaio" - il tuo bel Paradiso lo hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso".