Possibile fare affari salvando il mondo? Brent Schulkin e Steve Newcomb ne sono convinti e hanno fondato Virgance per dimostrarlo. Tra i primi progetti, una formula di promozione che premia i negozi disposti a spendere per diventare più ecologici. Con vantaggi per tutti: commercianti, consumatori e ambiente
Non è facile lanciare un prodotto nuovo sulla piazza americana: già prima della crisi ne fallivano otto su dieci. Lo è ancora meno se quel prodotto nuovo non è "un" bene ma "il" bene. Eppure Brent Schulkin e Steve Newcomb hanno deciso di fare un audace salto nel buio inaugurando il negozio della bontà con la loro start up Virgance. «Perché non creare un'azienda che, invece di auto o candele profumate, produca cambiamento sociale positivo, o quanto più bene possibile? Potrebbe un'azienda simile dare ai suoi impiegati la soddisfazione di sal-vare il mondo - si domanda Schulkin - e al tempo stesso offrire un salario robusto quanto quello che guadagnerebbero presso una qualunque altra impresa? Molti di noi sono costretti a scegliere tra sentirci vuoti mentre ci arricchiamo o sentirci appagati mentre sopravviviamo su magre entrate. È possibile creare una terza via?».
Brent, 28 anni, ambientalista con una laurea in Comunicazione a Stanford, è molto chiaro nello spiegare il pensiero che sta dietro a Virgance. Il nome dell'azienda viene da Guerre Stel-lari, un neologismo made in George Lucas che indica la nascita di una forza che può essere usata nel bene o nel male: l'ha suggerito Steve, 39 anni, studi economici, per sua stessa ammissione «nerd e imprenditore seriale» (ha da poco venduto a Microsoft l'azienda che ha inventato il motore di ricerca semantico Powerset).
Il giovane attivista e il manager di Silicon Valley si incontrano nella primavera del 2008 in un caffè di San Francisco. Steve ha già in testa una manciata di modelli in grado di rivoluziona-re il mondo del business rendendolo responsabile delle sue politiche sociali e ambientali. Ma prima occorre sdoganare l'idea che si possa cambiare il sistema dall'interno facendo dell'attivismo for profit, sfruttando cioè i principi del capitalismo, al posto del volontariato. Ironicamente, per rendere il mondo più buono Steve deve sconfiggere un radicato pregiudizio buonista.
E qui entra in gioco Brent, che proprio a San Francisco ha appena lanciato il primo Carrotmob, il suo geniale piano per fare boicottaggi al contrario in favore dell'ambiente: si indice un'asta tra negozi di uno stesso tipo (supermercati, ferramenta, ristoranti) di una data città; vince l'esercizio che promette di spendere di più per ecologizzarsi, per esempio comprando frigoriferi a basso consumo e bidoni per il compostaggio. Il giorno prestabilito, una folla di consumatori radunati attraverso social network come Facebook e Twitter assalta il negozio vincitore per fare i propri normali acquisti, dando modo al gestore di adempiere all'impegno preso con i guadagni extra.
Superato il bastone del noioso, inefficace sit-in, meglio la carota che si concretizza in entrate immediate, in un'ottima reputazione che durerà nel tempo e soprattutto in una situazione dove tutti vincono: il commerciante, i suoi impiegati, il buco nell'ozono e lo stesso pubblico che, nell'era dello slacktivism (il pigro attivismo che si traduce in mere adesioni ad altisonanti gruppi su Facebook) riesce a fare del bene tangibile senza impegnare energie e risorse economiche particolari. In più lo schema Carrotmob è applicabile alle multinazionali come alla bottega sotto casa, alle questioni ambientali come a quelle sociali, dalle migliori condizioni per le donne in maternità a polizze sanitarie più complete per i dipendenti.
È proprio questo che cerca Steve: un progetto che si presti a essere portato su scale diverse, capace di rendere partecipi i consumatori, di creare un giro d'affari, gemellabile a quelli che ha già elaborato, Lend me some sugar e Green Fund. Il primo si basa su un'applicazione per social network che permette agli utenti di scegliere a quali iniziative filantropiche desti-nare il marketing budget di un'azienda. Il budget, frazionato in simboliche zollette di zucchero, agisce chirurgicamente sui consumatori rendendoli parte integrante del brand e quindi fi-delizzandoli; Virgance guadagna solo dalle inserzioni pubblicitarie che appaiono a lato della pagina web. Anche Green Fund sfrutta la piattaforma dei social network per creare una mol-titudine di microinvestitori in imprese virtuose, sia private sia governative, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. In entrambi i casi ogni attore esce vincitore, proprio come in Carrotmob.
Al momento, mentre vengono perfezionati i dettagli burocratici per far partire i due progetti, Virgance sostiene i suoi 15 dipendenti con un doppio canale di proventi: quelli di 1BOG, One block off the grid, che raggruppa consumatori di una stessa città intenzionati a installare pannelli solari sui propri tetti, offrendo loro consulenze e sconti grazie alla "spesa di massa", e con la recente acquisizione di Green Options, il secondo media network al mondo sui temi del vivere sostenibile. «Il bello - spiega Brent eccitato - è che non avremo mai più bisogno di fare la morale a nessuno perché l'aspetto economico avrà già vinto il dibattito. I democratici ci amano per le cause che portiamo avanti, i repubblicani perché siamo a favore del busi-ness e sposiamo il libero mercato».
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