I fratelli Judica Cordiglia cinquant'anni fa gettarono nel panico Kgb e Nasa con la loro rudimentale strumentazione. Nel corso di lunghe ed emozionanti nottate, riuscirono da To-rino a intercettare le voci degli astronauti americani e sovietici. Scoprendo che un uomo volò nel cosmo prima di Yuri Gagarin. Senza riuscire a tornare a casa
Al tocco della mano l'apparato radio si accende e inizia a risucchiare dal cielo stellato rumori e suoni che intasano valvole e transistor, diventano luci di oscilloscopi, guizzi di lancette e infine gracidii di altoparlanti. Una danza di strumenti che si fermerà solo all'alba, quando arriverà l'ordine "passo e chiudo". Già sessant'anni fa le notti di Achille e Giovan-ni Battista Judica Cordiglia iniziavano e finivano così. E fu in quelle notti degli anni Cinquanta che i due giovani radioamatori di Torino infilarono le loro antenne fatte in casa nei se-greti inviolabili della sfida tra Unione Sovietica e Stati Uniti per la conquista dello spazio.
«Noi volevamo solo seguire la nostra passione - raccontano -. Della notte ci piaceva soprattutto questo: l'etere pulito che permette alle onde radio di propagarsi senza interfe-renze. Mai avremmo pensato che quel nostro svago ci proiettasse in un capitolo incandescente della Guerra fredda. Ci divertivamo a costruire radio, antenne e amplificatori».
Radioamatori, insomma, solo più curiosi e geniali degli altri. Nel 1954 si fabbricarono in casa il primo televisore e cinque anni dopo fondarono un'emittente con tanto di licenza del ministero delle Poste. Fu in assoluto il primo esempio di tv privata in Italia.
Di notte inseguivano i satelliti russi e americani. A 76 anni Achille si entusiasma ancora al pensiero dei sonni persi alla ricerca di segnali su frequenze misteriose. Mentre la loro camera da letto si riempiva di pezzi di radio, bobine di rame e scatole di bachelite il Sifar, il controspionaggio italiano di allora, sorvegliava preoccupato quei due ragazzi. Achille e Giovanni Battista avevano scoperto la dislocazione delle sedici basi spaziali sovietiche. Erano gli unici al mondo in grado di preannunciare con quarantott'ore di anticipo il lancio in orbita di un satellite, addirittura ricevevano prima di Mosca i dati scientifici raccolti dallo spazio.
La loro Fiat 1100 familiare, attrezzata per l'ascolto spaziale, era sempre in movimento e serviva da seconda stazione ricevente. «Ci consentiva di fare la cosiddetta triangola-zione per definire il punto esatto da cui partivano le trasmissioni a terra - ridacchia Achille -. In poco tempo riuscimmo a mettere sotto controllo tutto il territorio dell'Urss». Le sedici basi sovietiche, inafferrabili per le spie di professione, iniziarono a parlare chiaro solo ai due fratelli. «Avevamo notato che le trasmissioni erano precedute da una sequenza di note diverse. Le facemmo ascoltare a nostra madre, pianista dilettante. Le suonò tutte insieme e ne ricavò una frase musicale del Boris Godunov di Mussorgsky». Quarantott'ore dopo che la frase musicale veniva completata partiva un razzo. Avevano scoperto il codice segreto per la messa in stato di allerta delle basi spaziali. «Avvertivamo i giornali e l'Italia era uno dei primi paesi al mondo a seguire in diretta quelle missioni nello spazio. Nel frattempo avevamo traslocato la nostra attrezzatura in un bunker costruito dalla contraerea tede-sca durante la guerra sulle colline torinesi».
Quel posto divenne la centrale di ascolto spaziale di Torre Bert. Nel bunker si calcolavano le traiettorie dei satelliti seguendone il tragitto sull'orbita terrestre. «Partivano dall'Asia, sorvolavano il Pacifico e prima di riallinearsi sull'Urss scaricavano i dati su una stazione in Germania Est. Li beccavamo per primi sui cieli tedeschi e le informazioni erano nostre».
Ormai le notti dei due fratelli erano diventate affollate. Da quando l'Italia capì che erano gli unici in grado di raccontare la conquista dello spazio giornalisti, amici e curiosi riem-pivano le veglie di Torre Bert. A questa folla di nottambuli anni Sessanta si aggiungeva la pressione del Kgb, sempre più forte. «Un giorno del 1962 ci telefonò un giornalista. Sono della Tass, disse, l'agenzia di stampa sovietica. Vorrei farvi un'intervista». Il giornalista andò a casa Judica Cordiglia e insieme alle domande offrì dei soldi. «No grazie, gli rispon-demmo. Benché un po' in ansia per gli strani pedinamenti dei giorni precedenti, volevamo mantenere la nostra libertà». Fu una sera movimentata. Appena uscito il giornalista il campanello suonò di nuovo. «Questa volta era un italiano, un agente del Sifar». I russi erano usciti allo scoperto, gli italiani temevano di perdere la loro fonte. «L'agente segreto tirò fuori una fotografia. Era il redattore della Tass. "È una spia sovietica, altro che giornalista", ci spiegò. Ci disse anche di stare attenti perché stavamo svelando cose che per l'Urss rappresentavano segreti di Stato».
I due ragazzi, infatti, avevano scoperto qualcosa di sensazionale. Il Cremlino aveva mandato un uomo in orbita senza mai rivelarlo. Il 2 febbraio 1961, due mesi e mezzo prima del trionfale volo spaziale di Gagarin, negli apparecchi di Torre Bert risuonò un battito cardiaco proveniente dallo spazio. Lo fecero analizzare e il massimo cardiologo dell'epoca, il professor Dogliotti, certificò che era un cuore umano. Assieme al battito, i due giovani ascoltarono il respiro di un uomo ormai privo di sensi e prossimo alla morte.
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