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Una casa al centro del mondo

di Maurizio Ferraris

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Pochi anni fa, mentre ero in sabbatico, mi è capitato di ricevere a Bogotà una telefonata della colf che chiedeva se portare il cappotto in tintoria (le ho suggerito, per il futuro, di usare gli sms). Qualche giorno dopo, a San Francisco, mi sono trovato a prenotare sul sito di Trenitalia un biglietto Torino-Asti per la settimana successiva. Ero nel mondo globalizzato, ma al tempo stesso eseguivo un'operazione iperlocalista, per raggiungere una casa di campagna in Monferrato. Più o meno come un mio collega che insegna a New York e che ha la famiglia in Italia, e ogni settimana si vede recapitare a casa la spesa che sua moglie fa per lui su internet. O come il ragazzo che qualche settimana fa vedevo impegnato in interminabili conversazioni serali via skype sulla piazza di un paesino del Peloponneso.
Dovunque sei a casa, a questo punto. Da una parte non c'è niente di sorprendente nel vivere a Lione e nel lavorare a Parigi, o nell'abitare a Bruxelles e andare a far shopping a Londra. Dall'altra, la possibilità di un continuo contatto via web crea quelle che proporrei di chiamare "comunità documentali", basate sulla condivisione di scritture e comunicazioni impensabili anche solo pochissimi anni fa. Davvero con uno smartphone si ha il mondo in tasca e, al tempo stesso, questo possesso è loca-lizzato, è lì, dove sei tu e dovunque tu sia, cioè anche in un piccolo centro o in aperta campagna.
Questo ripensamento della "casa", a mio avviso, è l'aspetto di gran lunga più interessante fra tutto quello che ci è stato offerto dalla tecnologia degli ultimi decenni. "Casa", come "comunità" e come "famiglia", è uno di quei nomi - e in effetti di quegli ideali e di quei valori - che sono più frequentemente indicati come desiderabili. Ma, appena si è a casa, in comunità o in famiglia, il primo impulso è uscire. È un paradosso ma è così. È, avrebbe detto Manzoni, «il guazzabuglio del cuore umano». Ora, fra tanti peri-coli e orrori, il privilegio dell'epoca in cui viviamo è il fatto di avere realizzato quella che, almeno per i più, era una utopia. Invece di permetterci di aver casa sulla Luna o su Marte (come era nei sogni di mezzo secolo fa) ci ha consentito di essere continuamente a casa e altrove. Molto meglio così, perché davvero non valeva la pena di abi-tare su Marte se poi tutto restava come prima.

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