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Scritti per Ventiquattro

Rompete le righe

a cura di Chiara Somajni

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30 ottobre 2009
foto di Marta Sarlo


Eliminare i concorsi universitari, valorizzare gli interessi eccentrici, svincolare parte del lavoro dipendente da obiettivi precisi. Sono alcuni degli strumenti che consentirebbero di promuovere l'interdisciplinarità in Italia favorendo ricerca e innovazione. A indicarli, nel corso di un incontro organizzato da Ventiquattro, cinque esperti di altrettanti settori
Dalla discussione abbiamo estrapolato una lista di strumenti possibili per promuovere l'interdisciplinarità in Italia. Non è definitiva: la si può integrare e commentare scrivendo a ventiquattro@ilsole24ore.com.

Le proposte
1) Aumentare i finanziamenti statali per la ricerca curiosity driven.
2) Nelle università disarticolare i raggruppamenti disciplinari e abolire i concorsi.
3) Responsabilizzare la dirigenza universitaria sul piano delle scelte economiche e dei reclutamenti, così che tragga vantaggio nel reclutare il candidato migliore e che debba rispondere delle scelte sbagliate.
4) Programmi post dottorato quinquennali.
5) Un nuovo sistema di valutazione delle pubblicazioni scientifiche che non sfavorisca la coautorialità.
6) 80/20: nel venti per cento del tempo, lasciare i dipendenti liberi di dedicarsi ad attività non direttamente riconducibili al loro lavoro.
7) Nei processi di reclutamento valutare gli interessi e le esperienze eccentriche.
8) Un sito comune su cui indicare le proprie direzioni di ricerca.
9) Glossari interdisciplinari.
10) Forum tematici interdisciplinari interattivi.


Francesco Blasi, biologo molecolare; Guido Guerzoni, economista delle istituzioni culturali; Eliana Morandi, notaio; Carlo Rivetti, imprenditore tessile; Pietro Zanarini, fisico-informatico. Sono i cinque esperti che Ventiquattro ha invitato intorno a un tavolo per discutere di interdisciplinarità, con l'obiettivo di individuare una serie di strumenti utili per promuoverla in Italia. L'incontro si è svolto al Lambretto, centro per le arti dalla vocazione interdisciplinare da poco inaugurato a Milano, e si è dipanato a partire da tre domande: quanto è importante l'interdisciplinarità nel vostro lavoro? Quali sono gli ostacoli principali? Quali le leve per favorirla? Ne riproponiamo i passi salienti. Non è che l'inizio: la discussione prosegue in rete.
FRANCESCO BLASI (FB). Vorrei partire da un diagramma. Mostra come il lavoro dello scienziato ottenga negli anni risultati con una certa tendenza, efficienza e velocità, finché non incontra qualcun altro che abbia competenze diverse, ma lo stesso interesse. L'incontro genera un salto: da qui, il livello da cui riparte la ricerca, è molto più elevato. In seguito la velocità può ripren-dere costante; se queste due conoscenze interagiscono, la velocità aumenta. Fino a un eventuale altro incontro che produce un nuovo salto. L'interdisciplinarità è insomma essenziale e connaturata alla ricerca.
Sono un biologo molecolare, disciplina nata dall'incontro tra fisici, genetisti e biochimici. Recentemente abbiamo dovuto cambiare un ulteriore parametro. Ognuno di noi lavorava prima su un piccolo argomento, per esempio un gene. Da una decina d'anni si può lavorare su tutti i geni in contemporanea. Questo è possibile grazie all'informatica, ai robot e soprattutto a una mentalità nuova. A tutto ciò si sono aggiunti i problemi etici.

CARLO RIVETTI (CR). Io faccio vestiti. Ho usato materiali provenienti dall'industria aeronautica, tessuti impiegati per fare airbag: un materiale bellissimo con cui in Inghilterra si ricoprono i muri dei manicomi, perché è così elastico che se anche dai una testata non ti fai male. Gli esperimenti di maggiore successo sono venuti proprio da ricerche del tutto estranee al mio campo.
Il mio settore manca forse di managerialità, ma è ad altissima interdisciplinarità. Sono professioni "inventate", di individui che vengono da esperienze culturali diverse. Il mondo del tessile e dell'abbigliamento quando si rinnova e cresce si appoggia proprio a esperienze di terzi. Questo dipende anche dal tipo di prodotto: che è soft, non si pesa, non si misura. Basti pensare ai concetti di mano di un tessuto, o di bello.

GUIDO GUERZONI (GG). Mi sono laureato in Economia nel 1992, poi ho fatto un dottorato in Storia. Dalla metà degli anni Novanta mi occupo della progettazione e della gestione di istitu-zioni e industrie culturali. Allora si pensava che buona parte dei problemi fosse imputabile all'incapacità dei dirigenti di concepire la propria attività anche in termini economici e che la loro i-nefficienza potesse essere guarita con iniezioni da cavallo di managerialità. È stato uno dei miti degli anni Novanta, che ha generato eccessi opposti, al punto che oggi si tutela a fatica la capacità innovativa né riescono a emergere idee veramente nuove. Il problema centrale è individuare i metodi più opportuni per valutare la qualità delle proposte, riconoscendo per tempo le innovazioni migliori e rispettando i tempi per implementarle.

PIETRO ZANARINI (PZ). Sono un fisico degenere: lavoro come informatico nel settore dell'Ict, multidisciplinare già nell'acronimo (Information and communication technologies). Il grafico sul-la crescita della ricerca scientifica ricorda i due modelli fondamentali dell'innovazione: da un lato vi sono quelle incrementali che comportano un miglioramento di qualcosa che già si sapeva fare. Poi ci sono quelle radicali, prima neppure pensabili, come il web. Spesso le innovazioni radicali non sono concepite top down, ma nascono proprio perché c'è un ambiente predisposto, per effetto di serendipity. Le condizioni di contorno possono facilitarle: se togli burocrazia e concentri i cervelli le agevoli. Quando metti assieme persone che ragionano in maniera diversa, il loro valore non equivale infatti alla somma ma è esponenziale. È l'effetto delle reti, che la legge di Metcalfe ha formalizzato.
  CONTINUA ...»

30 ottobre 2009
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