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Rompete le righe

a cura di Chiara Somajni

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30 ottobre 2009
foto di Marta Sarlo


Eliminare i concorsi universitari, valorizzare gli interessi eccentrici, svincolare parte del lavoro dipendente da obiettivi precisi. Sono alcuni degli strumenti che consentirebbero di promuovere l'interdisciplinarità in Italia favorendo ricerca e innovazione. A indicarli, nel corso di un incontro organizzato da Ventiquattro, cinque esperti di altrettanti settori
Dalla discussione abbiamo estrapolato una lista di strumenti possibili per promuovere l'interdisciplinarità in Italia. Non è definitiva: la si può integrare e commentare scrivendo a ventiquattro@ilsole24ore.com.

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Nel mio settore l'interdisciplinarità, oltre che con questi aspetti di rete, è collegata all'interoperabilità. Si pensi alle prese elettriche: in assenza di standard non potrei usare lo stesso asciuga-capelli in case diverse. Lo stesso problema c'è anche nei protocolli di comunicazione delle reti internet: uno standard semplice, l'Ip, ha permesso lo sviluppo del web. Sono standard aperti, non proprietari, dove chiunque può agganciarsi e creare il suo modulo.

ELIANA MORANDI (EM). Parlo come notaio e come legale. Nella mia professione l'interdisciplinarità è essenziale. Il diritto si interseca prima di tutto con l'economia, che vuol dire finanza, a-nalisi economica del diritto, economia comportamentale. Poi con l'informatica o le biotecnologie, le quali pongono problemi che il diritto deve risolvere e disciplinare e che hanno substrati tecnici, biologici, etici, culturali. Quindi per me l'interdisciplinarità ha una doppia valenza. Innanzitutto nel rapporto con le parti, dove emerge sempre di più la difficoltà e l'esigenza di capirne la volontà e di adeguarla all'ordinamento. Parti sempre più diverse tra loro: con un musulmano fin da quando entra in studio si pone il problema se stringergli la mano, o ci si preoccupa che capisca che sta facendo un mutuo con degli interessi, quando la sua religione glielo proibisce. A un ghanese il concetto di proprietà individuale è completamente sconosciuto. Prima bisogna rendersi conto che loro non lo sanno, poi capire come farglielo comprendere.
A parte la relazione, vi sono problematiche di ordine tecnico che ci impongono uno sguardo interdisciplinare: testamento biologico, matrimonio omosessuale, o gli strumenti finanziari che hanno creato così tanti problemi negli Stati Uniti proprio perché è mancato il raccordo tra economisti e giuristi. Due gli snodi da risolvere: la necessità di un linguaggio comune e quella di co-noscere le metodologie di analisi delle altre discipline.
CR. Per l'impresa è un momento difficile. L'interdisciplinarità, questa voglia di aprirsi e capire esperienze diverse, non gode di buona salute. Perché non dà risultati subito. È considerata un lusso.
PZ. Però se continuiamo a puntare sull'innovazione incrementale verremo superati, già succede. Cinesi e indiani sono di più e hanno università migliori delle nostre. Probabilmente per un anno o due non fallisci, ma a lungo termine non ce la fai.
CR. Io sono profondamente innovatore nel prodotto. Oggi vengo guardato con sospetto.
PZ. Da chi?
CR. Dal mercato. Il negoziante vuole ciò che è sicuro di vendere, cioè quello che ha venduto l'anno prima. Lo dico sempre: finiremo come la Cina di Mao, tutti vestiti uguali.
EM. Bisogna spiegare, dare le chiavi per l'innovazione. È chiaro però che l'impresa medio-piccola non può fare grossi investimenti...
PZ. I mega fondi non sono indispensabili. Se erogati male, a pioggia, fanno male. Importante è la mentalità.
GG. Però c'è un problema di scala. Ci sono luoghi dove l'interdisciplinarità è in qualche modo imposta: fa differenza lavorare al Cern, dove si è in 10mila, o in un laboratorio medio da 10-15.
FB. Secondo me c'è un punto molto importante. È il livello di supporto generale e di libertà. La scienza va avanti in maniera strepitosamente veloce perché non ha limiti. Non così in Italia. All'interno delle nostre università, per logiche di potere, il processo di diffusione delle competenze è lentissimo. Si prenda la bioinformatica: se un biologo vuol fare dell'informatica, è un bio-logo o un informatico? Fino a poco tempo fa questa persona era destinata a non fare carriera.
Altro problema. Per fare uno studio su larga scala in biologia c'è bisogno di cento persone; dopo qualche anno esce la pubblicazione. Due sono le persone che contano: il primo e l'ultimo. Ma ai fini della carriera chi sta al cinquantesimo posto non può essere giudicato.
GG. Se non sei un cretino suicida non porti le pubblicazioni che non afferiscono a un particolare raggruppamento disciplinare, perché potrebbero accusarti di essere indisciplinato. Prima confermi la fedeltà alla disciplina, poi puoi permetterti di lavorare con altri. Se all'estero i saggi a più mani di sociologi, economisti, storici e giuristi sono la norma, in Italia sono rarissimi.
PZ. Volevo riagganciarmi al problema di scala. Tim Berners-Lee ha inventato il web al Cern: un ambiente culturalmente vivace, certo. Ma all'inizio era stato un pochettino osteggiato: lì si de-vono fare fisica o programmi che servono ai fisici. Berners-Lee disse che il web sarebbe stato utile anche a loro...
  CONTINUA ...»

30 ottobre 2009
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