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Rompete le righe

a cura di Chiara Somajni

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30 ottobre 2009
foto di Marta Sarlo


Eliminare i concorsi universitari, valorizzare gli interessi eccentrici, svincolare parte del lavoro dipendente da obiettivi precisi. Sono alcuni degli strumenti che consentirebbero di promuovere l'interdisciplinarità in Italia favorendo ricerca e innovazione. A indicarli, nel corso di un incontro organizzato da Ventiquattro, cinque esperti di altrettanti settori
Dalla discussione abbiamo estrapolato una lista di strumenti possibili per promuovere l'interdisciplinarità in Italia. Non è definitiva: la si può integrare e commentare scrivendo a ventiquattro@ilsole24ore.com.

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GG. Le grandi strutture sono però quelle che lasciano maggiore libertà, è un lusso previsto. Come la possibilità di fallire. Negli ultimi anni ho avuto una fellowship di Harvard e ho insegnato nel centro di ricerca del Victoria & Albert Museum. La libertà di cui si gode in strutture del genere fa parte del contratto: sono talmente ricche e solide da lasciarti la libertà di provare e sba-gliare.
PZ. Google l'ha formalizzato: 80/20. Nel venti per cento del tempo i dipendenti possono fare quello che vogliono, mentre nell'ottanta fanno "quello che dice il capo". Così sono nate cose im-portanti come GoogleMail.
CR. Sono affascinato dal discorso della libertà. Nelle imprese illuminate, pur se non sancito, questo avviene già. Ma come la mettiamo con chi fa fatturazione clienti? Un precedente c'è: ri-cordate la Toyota, il discorso sulla qualità totale? Premiava l'operaio che veniva con un'idea. Questo voleva dire ammettere un tempo di pensamento non finalizzato alla costruzione manua-le.
EM. Secondo me bisogna tenere presente innanzitutto il tipo di azienda: state parlando di realtà in cui la creatività la fa da padrona. Inoltre avete citato americani e giapponesi, e non è ca-suale: perché in entrambi esiste un'etica del lavoro molto diversa della nostra.
CR. Quella che fa le fatture potrebbe inventarsi una campagna pubblicitaria straordinaria...
EM. Per me si tratta di lavorare sui sistemi incentivanti. Se suggerisci un miglioramento del processo produttivo ti aumento del venti per cento lo stipendio.
PZ. In Gran Bretagna sono stati fatti degli studi per verificare l'efficienza del dipendente pubblico cui venga vietato l'accesso a internet e di quello lasciato libero di fare ciò che vuole. Non è vero che quest'ultimo a regime produca meno, perché ha un capo e degli obiettivi.
EM. Prima si diceva: se sei a metà tra due discipline nessuno ti piglia. Il sistema della cooptazione potrebbe essere una soluzione.
CR. Sono stato direttore del personale di Gft (è stata la più grande azienda tessile d'Europa, con 10.500 dipendenti). A metà degli anni Ottanta grazie alla legge sulla fiscalizzazione degli oneri sociali assumemmo 400 persone. 370 con la logica della manodopera a basso costo. Per trenta mi impuntai e scelsi persone che avevano la luce negli occhi. Questi ragazzi hanno fatto una strada incredibile. Poi mi hanno cacciato: avevo rotto le regole.
EM. Problema tipico dell'interdisciplinarità, rompere gli schemi.
CR. Esatto! Attenzione: siamo un popolo vecchio, con poca propensione all'innovazione. Diffidiamo del diverso, ci chiudiamo nelle nostre piazze.
EM. Arriviamo a delle proposte concrete.
CR. Credo che in questo paese dovremmo imparare a parlarci di più. Magari su argomenti comuni, perché è molto interessante cogliere approcci diversi a una stessa problematica. Sono contrario alle cose assembleari, paludate. Penso piuttosto a dei forum.
GG. D'altronde di fronte alla crisi delle sedi deputate a proteggere l'interdisciplinarità si sono affermati nuovi luoghi in cui questo accade, come le fondazioni, i parchi scientifici, le società di trasferimento tecnologico, gli istituti di ricerca extra-accademici. In quest'area franca è più facile portare avanti progetti che abbisognano di tempi lunghi. Oggi in tutti i campi c'è una pressio-ne sui risultati che riduce la visione periferica a un lusso. Una proposta concreta? Introduciamo dei programmi post dottorato più lunghi, sapendo di poter lavorare per quattro-cinque anni in condizioni più serene e tutelate.
Alzare la testa e guardare lontano, senza dover centrare un obiettivo di respiro corto. Nessuno se lo può più permettere ma è fondamentale. Di conseguenza suggerirei un tema legato alle modalità con cui si recluta a tutti i livelli: per la scuola, l'università, l'impresa. Tutti dicono che abbiamo bisogno di soft skills, di persone capaci di interagire con altre competenze, altre culture, altri schemi logici e comportamentali, ma alla prova dei fatti si valutano caratteristiche prestazionali: dove hai studiato, i voti, le lingue, se conosci il pacchetto Excel... Nei processi di selezio-ne bisognerà valutare maggiormente le componenti eccentriche, la curiosità, i percorsi diagonali.
EM. Per potersi interessare ad altre discipline bisogna sapere quali c'entrano con la materia che stai trattando tu. Un sito web dove indicare su che cosa si sta lavorando potrebbe esse-re utile.
FB. Vorrei restringere il campo delle mie proposte in maniera settoriale. In questi anni è nata una nuova disciplina, la biologia dei sistemi, dalle ricadute economiche e di salute pubblica in-credibili. Richiede uno studio multidisciplinare e ho il timore che in Italia questo sviluppo sia impedito a causa del sistema universitario pessimo. In primo luogo vanno rivisti la valutazione e il reclutamento delle persone, che soffrono del problema corporativo dei gruppi disciplinari: per diventare docente della tal materia devo essere esaminato da professori di quella materia, col risultato, tra l'altro, che se una disciplina ha un numero doppio di docenti, automaticamente riuscirà a sfornare un numero doppio di professori, anche se quella disciplina è morta. Seconda cosa, l'eliminazione dei concorsi. Non credo che se i professori fossero scelti a caso il risultato sarebbe peggiore. L'unico modo è fare sì che chi decide abbia un vantaggio diretto nella scel-ta del candidato migliore, responsabilizzando rettori, presidi, direttori di dipartimento, componenti di una commissione giudicatrice. Per il resto lasciare completa libertà. Anche a noi profes-sori universitari una volta entrati nessuno chiede più quello che facciamo, tranne il numero di ore di lezione.
  CONTINUA ...»

30 ottobre 2009
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