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L'importante è contaminare

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30 ottobre 2009

Ai finanzieri di Wall Street, il patologo Harvey Rubin consigliava di studiare le colonie di batteri per capire come prendere decisioni. L'anno scorso, su Nature, Sir Robert May ricordava un rapporto delle Accademie delle scienze americane e della Federal reserve, che nel 2006 aveva raccomandato ai banchieri, senza grande successo come si è poi visto, di ispirarsi alla vita degli ecosistemi per descrivere il "rischio sistemico". Da fisico che si occupa di modelli economici, temo di aver espresso anch'io un'analogia con i sistemi biologici. Era il 1995, l'economia e la biologia stavano mu-tando: da discipline basate su molte osservazioni e pochi dati da analizzare, si erano messe a produrre una marea di informazioni. Occorreva trovare un senso alle sequenze di geni dei più svariati organismi, o alle quantità di merci prodotte, scambiate e consumate nei vari paesi. Servivano modelli interpretativi meno semplificati, ma allo stesso tempo non troppo dettagliati. Altrimenti sareb-bero stati come la mappa dell'Imperatore narrata da Borges: così ingombranti da ricoprire l'intero regno.
La biologia e l'economia studiano i sistemi "aperti", che si procurano risorse dal mondo esterno, lo influenzano e ne sono influenzati. Di solito sono organizzati in maniera gerarchica - tessuti, orga-ni, organismi; industrie, banche, mercati finanziari - anche se le singole unità hanno ruoli distinti. In entrambe le discipline, interessa scoprire le regolarità che consentono di fare previsioni, spesso di natura statistica. Ma gli agenti sono troppo diversi. Formano sistemi chiamati complessi perché il loro andamento non è determinabile solo dal comportamento delle singole parti. Quando la complessità diventa ingestibile con gli strumenti classici dei biologi e degli economisti, serve un approccio multidisciplinare sul serio. Negli ultimi cinquant'anni abbiamo fatto progressi nello studio della probabilità e di questi sistemi complessi anche grazie al contributo della fisica. Mescolando tante discipline, ormai possiamo avventurarci in una descrizione quantitativa di scenari che rap-presentino la diffusione della malaria, l'evoluzione del clima o il mercato delle materie prime, in maniera realistica. Così la mappa diventa meno semplice di un tempo, ma resta più maneggevole di quella dell'Imperatore.
di Rosario Mantegna



Il dizionario non ci dice l'ultima parola, ma la prima. Non serve per esprimere un giudizio definitivo ma per iniziare una discussione. Il dizionario non è saggio: lo è chi lo utilizza bene. Per questo, mi interessa più quando suggerisce che quando informa.
Ecco i significati di alcune parole presi dal dizionario. Contaminare: alterare in modo nocivo la purezza o le normali condizioni di un oggetto o di un procedimento attraverso agenti chimici o fisici. Meticciato: mescolanza di culture distinte che ne originano una nuova. Interdisciplinare: studio o altra attività che viene eseguita con il contributo di varie discipline. Fusione: azione ed effetto che riduce due o più cose distinte a una sola. Ciò che ritengo più interessante quando provo ad applicare queste definizioni è il fatto che la "purezza", la qualità autonoma di ogni disciplina, non è un valore in se stesso, e in ogni caso non è un valore attuale. La cucina, come la maggior parte delle discipline moderne, esiste mentre agisce (interagisce) con altre.
In origine, la cucina sarebbe solo un metodo che agevola l'assorbimento degli alimenti per la sopravvivenza del corpo. Il fatto che questo semplice metodo si sia convertito in una disciplina così complessa, con innumerevoli ramificazioni nelle aree più disparate (economia, ecologia, salute, scienza, arte, pittura, storia) è un'immagine suggestiva, quasi poetica, di ciò che l'uomo incarna come essere primordialmente culturale.
Nel mio lavoro ho vissuto questo cambio di paradigma. Quando ho iniziato, circa trent'anni fa, la cucina viveva della propria storia, della sua tradizione. L'apprendistato avveniva ai fornelli, l'ispirazione andava cercata nei ricettari. Negli ultimi lustri ho notato come nella mia attività siano entrati l'industrial design, la scienza, la dietologia, come si stabiliscano contatti con il mondo dell'arte, dell'università, delle attività commerciali. Una cucina senza ramificazioni in altri campi mi sembra oggi impensabile, autoreferenziale.
La cucina è un'immagine fantastica della capacità dell'uomo di trasformare natura in cultura. Ma ciò che oggi la distingue è il fatto che ha aperto le sue porte, si è fusa, mescolata, contaminata e continua con nuove mescolanze. E il bello è che, nonostante tutto (o grazie a questo), continua a essere solo cucina.
di Ferran Adrià

30 ottobre 2009
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