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Indignarsi, una questione di pancia

di Matteo Motterlini

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28 maggio 2009

Sentirsi accettati o rifiutati, trattati lealmente o ingiustamente, stimati oppure disprezzati: la vita sociale richiede una continua e rapida interpretazione. Nella maggior parte dei casi questo avviene in modo del tutto automatico, senza che sia necessario passare ogni nostro giudizio su noi stessi in rapporto con gli altri al vaglio di un ragionamento esplicito e deliberato. È una fortuna, perché è appunto nell'automaticità che risiede il segreto della nostra rapidità. Ad esempio l'amigdala, un'area profonda del nostro cervello, impiega trenta millesimi di secondo per intercettare i segni della paura sul volto di una persona. Un istante in cui il nostro cervello fa qualcosa senza che neppure se ne abbia consapevolezza, lasciandoci solo un vago senso di disagio, prezioso indizio riguardo al comportamento più adatto da tenere in quella situazione.
Secondo una scoperta recente, I dolori e i piaceri della vita sociale (così era intitolato l'articolo pubblicato su Science il 13 febbraio scorso) seguono gli stessi circuiti neurali che sottostanno ai più semplici dolori e piaceri fisici. Il disgusto morale non sarebbe altro che un riflesso mentale, paragonabile alla repulsione che proviamo per uno yogurt scaduto. È un cervello dunque banale, quello emerso dalla pressione evolutiva per cui l'immoralità è rivoltante e lascia, letteralmente, l'amaro in bocca? Sì, ma per altri versi anche molto sofisticato. Basti considerare che provare invidia per il successo di un'altra persona attiva i "circuiti del dolore", mentre le sfortune della stessa persona accendono i "circuiti dopaminergici della ricompensa", gli stessi che reagiscono inequivocabilmente per i piaceri della buona cucina (ancora il cibo!), il sesso e le droghe, in particolare la cocaina.
Anche lo scandalizzarsi, cioè provare una reazione viscerale di fronte a un'azione contraria alla morale o alla decenza, potrebbe avere una pregnante valenza evolutiva. È noto che la dimensione della corteccia prefrontale dei primati è correlata alla dimensione dei gruppi sociali in cui vivono. Per la nostra specie, che ha costruito le proprie possibilità di sopravvivenza sull'organizzazione del vivere associato, riuscire a codificare le esperienze sociali è importante quanto i più basilari bisogni fisici. Non sorprendentemente, così come per ogni deprivazione fisica c'è un dolore, l'evidenza neurologica suggerisce che lo stesso valga per i bisogni morali. Fra questi, azzardiamo, la capacità stessa di scandalizzarsi. Smettere di farlo sarebbe paragonabile a non essere più in grado di riconoscere il cibo che ci avvelena.

28 maggio 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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