Una delle prime domande senza risposta rivoltemi da mia figlia suonava così: perché facciamo tutte queste cose, andiamo a scuola, facciamo la spesa, disegniamo? A che cosa serve? Il sospetto dell'inutilità aleggia su tutte le pratiche umane, si tradisce nella richiesta di senso che a sua volta produce mostri concettuali e fattuali. Studiamo il latino e ci viene detto che lo facciamo per alle-nare un muscolo mentale che ci permette poi di affrontare anche le strutture - poniamo - della matematica. È vero? È difficilissimo stabilirlo. Ma se così fosse studiare il tedesco o il cinese avrebbe presumibilmente gli stessi vantaggi, più alcuni ulteriori, come il dominio di una lingua che almeno qualcuno parla.
Neuroscienziati illustrissimi si sono affannati a capire se la padronanza di uno strumento di musica o la pratica di un'attività artistica influenzi il successo scolastico in materie non artistiche (di nuovo, in matematica, attività in cui i risultati sono abbastanza misurabili). Qualche (timido) effetto lo si è trovato: trattandosi, a differenza del latino, di causalità e non di semplice correlazione. Ma se anche fosse? Riuscire in matematica è veramente una ragione per studiare pianoforte?
A volte le buone domande nascono dal rovescio di domande meno buone. La matematica non figura tra i programmi scolastici per permetterci di riuscir meglio in latino o in pianoforte. Ap-punto. E se - come pare - passare un'ora al giorno davanti ad alcuni videogiochi migliora le capacità che ci permettono di riuscire in matematica, non è detto che i videogiochi entreranno nei programmi scolastici.
Un'archeologia del fare ci svelerebbe una buona metà dell'orizzonte sconfinato dell'inutile: inutile il latino; inutile il pianoforte. Se studi l'uno, o l'altro, non è per la loro utilità. L'altra metà dell'orizzonte dell'inutile viene dischiusa dalla tecnologia, la cui cifra epistemologica e trasgressiva è proprio di metter a nudo, rendere insensate le più blasonate umane pratiche. Inutile la faticosa organizzazione dei pensieri in cartelle con nomi e date quando a ritrovare le cose è l'occhio disincarnato e instancabile di Google. Inutile affollare le scuole di computer quando questi sono già nelle tasche degli allievi sotto forma di telefonino. L'antropologo Dan Sperber ha osservato come il cuore stesso dell'educazione, la scrittura, rischi la ridondanza qualora i sistemi di riconoscimen-to vocale si specializzassero e divenissero pervasivi. Si continuerà a insegnare a scrivere come si continua a insegnare il latino, beninteso: ma si dovrà far scavo archeologico per cercare una ra-gione a penna e tastiera - fosse pure la tastiera tattile.