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L'Italia si fregia del Fregio

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In Primo Piano

L'Italia si fregia del Fregio

di Ada Masoero
Quando all'indomani della Breccia di Porta Pia si pose la questione di un'aula in cui riunire il Parlamento, a Roma si allestì in gran fretta un emiciclo che oltre dieci anni dopo, nel 1881, Francesco Crispi avrebbe definito sdegnosamente «una casa di legno coperta di tela e carta», vergognosa metafora agli occhi del mondo di una presunta fragilità del nuovo Stato. Sarebbero però passati altri 23 anni prima che Ernesto Basile potesse porre mano al progetto della nuova aula (l'attuale), approvato nel 1905 e subito avviato. A decorarne in alto il perimetro con un immenso nastro di pitture, Basile chiamò - non senza polemiche - Giulio Aristide Sartorio, mentre a Davide Calandra, reduce dal successo del monumento torinese al Principe Amedeo, toccò il rilievo alle spalle della Presidenza inneggiante al casato sabaudo.
Ideare e realizzare un'impresa decorativa tanto imponente per dimensioni (oltre 200 figure distribuite su 105 metri di lunghezza per quattro di altezza) e tanto rilevante per i significati simbolici che portava in sé, dovette essere una sfida temibile anche per un artista allenato alle grandi superfici e ormai riconosciuto com'era Sartorio nel 1908. A quasi cinquant'anni, si considerava pronto per un simile impegno e fra il ciarpame del verismo e della pittura di storia, che disprezzava, si riteneva il vero erede di quei maestri rinascimentali a cui, come insegnava Burckhardt, la cultura occidentale doveva ogni cosa. I tempi, poi, erano stretti: 30 mesi. Sartorio ci riuscì, pur eseguendo una massa di schizzi, disegni, modelli, bozzetti: tutti lavori che si credevano perduti e che sono invece esposti, insieme a 21 dei 50 pannelli del Fregio già restaurati, in una mostra affascinante curata da Renato Miracco, da anni sulle piste di Sartorio e ora reduce da uno "scavo" negli archivi degli eredi, dove ha rintracciato innumerevoli inediti. Con essi va in scena il laborioso processo creativo del Fregio, che vide l'artista sondare soluzioni diverse: ecco gli splendidi monocromi, una delle possibilità da lui prese in esame, subito contraddetti però da bozzetti colorati, ed ecco le sculturine dei cavalli (oscillanti) che aveva modellato guardando le cronofotografie di Muybridge. C'è anche il modelletto totale del Fregio, alto 22 centimetri, ritrovato e reinserito nella maquette dell'aula che, restaurato, ha rivelato essere composto da fotografie minuziosamente ritoccate dall'artista.
E per finire, alcune delle centinaia di lastre fotografiche originali ritrovate. Perché Sartorio, fotografo appassionato e cineasta (nel 1917 girò Il mistero di Galatea), fu il primo artista ad ammettere di servirsi della fotografia nel dipingere, ricevendo prevedibili ingiurie. Non solo, ma la fotografia fu la sua più preziosa alleata per portare a termine nel tempo prescritto quell'impresa. Lo racconta Ugo Ojetti: «Trasportando ogni sera sulla vasta tela, con le proiezioni delle diapositive del suo bozzetto, i contorni delle figure da dipingere il giorno dopo, ha eseguito il fregio in trenta mesi»; intorno al 1910 Sartorio si serviva dunque del l'identica tecnica usata oltre 50 anni dopo da Andy Warhol. Ma non basta: a vederli da vicino, ripuliti dal grigio che li offuscava, con i loro colori acquei giocati sul verde chiaro e sul rosa perlato, quei "teleri" sono colmi di sorprese: gorghi di materia spremuta direttamente dal tubetto sulla tela (i colori se li impastava lui stesso, con olio di papavero e cera, poi li metteva in tubetto), creano creste e avvallamenti che paiono anticipare l'informale ma che in realtà furono pensati per essere esaltati dalla luce zenitale del lucernario, mentre altrove affiora la nuda preparazione. Spatolate, grumi e colature animano tutte le figure, allacciate le une alle altre in un flusso ininterrotto, mentre un vento impetuoso gonfia loro le vesti: nel complesso programma iconografico da lui ideato, con le virtù degli italiani nell'esedra e le vicende della storia d'Italia sul lato piano, quello è il vento che spinge verso il futuro un popolo radicato in un passato glorioso. Perché, come amava dire il suo autore, il Fregio doveva essere non semplice pittura, ma "un poema".

«Il fregio di Giulio Aristide Sartorio», Roma, Camera dei Deputati, Sala della Regina, fino al 20 luglio. Catalogo Leonardo International.

Cantieri aperti
Giulio Romano tedesco I committenti furono i Fugger, i più importanti banchieri del Cinquecento europeo; il pittore prescelto Giulio Romano, il migliore allievo di Raffaello; la sede della chiesa di Santa Maria dell'Anima in piazza Navona, la chiesa dei Tedeschi in Roma (dunque, la chiesa di papa Benedetto XVI). Il dipinto che vanta un così illustre pedigree è una tavola con la Sacra Famiglia di Giulio Romano che proprio in questi mesi si trova in restauro in una location davvero particolare: un negozio di proprietà della Camera dei Deputati ubicato accanto al Parlamento all'angolo sinistro guardando la facciata. Si tratta di un restauro aperto al pubblico: dalla vetrina, chiunque può osservare le restauratrici (Valeria Merlini e Daniela Sorti) che lavorano in stretta collaborazione con la Soprintendenza. Il presidente della Camera Fausto Bertinotti e un discendente della famiglia Fugger presenteranno i risultati del restauro. La data dell'evento è ancora in via di definizione.

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