ArtEconomy24

Teatrini di voci suoni e rumori

  • Abbonati
  • Accedi
In Primo Piano

Teatrini di voci suoni e rumori

di Chiara Somajni
Chi si avviasse quest'estate sulla strada per Kassel e Münster, salendo da Basilea, farebbe bene a considerare di fare tappa a Darmstadt. Alla Matildenhöhe è ospitata un'ampia retrospettiva dedicata a Janet Cardiff e George Bures Miller. Mancano le "passeggiate" con cui Cardiff si era conquistata attenzione internazionale già negli anni Novanta (ci si può rifare a Münster), ma si ha una straordinaria possibilità di tuffarsi nell'immaginario evocato dai due artisti canadesi attraverso l'impiego sofisticato, ironico, seducente del suono e della parola. Che non vivono pressoché mai da soli, salvo che (nella selezione per questa monografia, organizzata insieme al Macba di Barcellona) in The Forty Part-Motet (2001), un omaggio a Thomas Tallis e al suo Spem in Alium, virtuosistica polifonia per otto gruppi di cinque voci del 1573 che è possibile ascoltare una per una, già presentata da Carolyn Christov-Bakargiev nella mostra al Castello di Rivoli del 2003. Il percorso infatti si articola in una serie di stanze che sono altrettanti teatrini, talvolta rappresentati come tali, altri sotto forma di ambienti debordanti di oggetti, libri ingialliti dal tempo, carte, collezioni di dischi, oggetti carichi di memorie e di vita vissuta; altre ancora, evocati concettualmente, nel dipanarsi della storia.
Si parte a ritroso, con l'ultima opera frutto della collaborazione dei due artisti: The killing machine (2007), installazione ispirata al racconto Nella colonia penale di Franz Kafka, danza macabra di un braccio meccanico che volteggia intorno a un paziente immaginario seduto su una sedia da dentista, con accompagnamento di suoni e di luci. La macchina svolge il suo compito atroce con amorevole perizia.
Quella di Cardiff e Miller è un'arte costruita sull'assenza: imbastiscono impalcature narrative che sostengono e orientano la nostra immaginazione, costruiscono personaggi e storie facendone sentire i rumori e le voci, e vedere solo il contorno. Intrecciano generi diversi (thriller, documentario, fantascienza, commedia...) e diverse tradizioni, quella cinematografica e quella radiofonica soprattutto. E lavorano sulla compresenza e l'intreccio di diversi livelli narrativi, spesso contaminandoli. Così ad esempio in Road Trip (2004) i due artisti commentano una serie di diapositive scattate dal nonno di Miller durante un viaggio dal Canada a New York, nel dopoguerra, per raggiungere un medico. Le diapositive scorrono davanti ai nostri occhi (avanti, e talvolta indietro), mentre ascoltiamo le voci di Cardiff e Miller che le commentano: riconoscono i luoghi, ricostruiscono la storia del nonno, discutono delle proprietà tecniche delle immagini e della stessa installazione, cui stanno lavorando e cui noi stiamo assistendo. O in The Paradise Institute, prodotto per il padiglione canadese per la Biennale di Venezia del 2001, una sala cinematografica nella quale siamo invitati a entrare, a indossare delle cuffie e ad assistere a un film: la cui storia piena di suspense è accompagnata (tra l'altro) dalle preoccupazioni di una persona virtualmente seduta accanto a noi, che a più riprese si chiede se non abbia dimenticato il gas aperto, finché non si alza e va a casa a controllare. O ancora in Opera for a small room (2005), dove invece siamo costretti fuori dal casottino stracolmo di lp e di giradischi. Sbirciamo dentro, dove si aggira una persona della quale scorgiamo, a tratti, solo l'ombra. «Prova prova... in mezzo alla scena un uomo, attorniato da innumerevoli di dischi...»: una voce descrive qualcosa che somiglia a quanto stiamo vedendo, uno dopo l'altro i giradischi si attivano, frammenti d'arie operistiche strappalacrime, la voce calma e profonda di un ipnotizzatore ("you are getting very sleepy…"), e i commenti del'uomo. Quasi un soliloquio, un trastullarsi mentale, in un crescendo melodrammatico che si chiude con uno scrosciante applauso. È la messa in scena della propria solitudine, e al contempo della sua consolazione, come capita talvolta di notte, in una serata piovosa, quando ci si abbandona ai ricordi e si gioca con la nostalgia. Par di entrare nella testa di quell'uomo che – mai visto – si fa ancor più vivo e presente.
Al piano di sotto, nel buio e nel freddo di una storica cisterna per l'acqua, indossato un paio di stivali raggiungiamo un capanno estivo, con tanto di cocktail. Ultimo spiazzamento, progettato appositamente per Darmstadt, dei due canadesi: la storia qui la inventiamo noi; anzi, ne siamo parte.
1Janett Cardiff e George Mures Miller, «The killing Machine e altre storie, 1995-2007», Darmstadt, Matildenhöhe, fino al 6 agosto. Catalogo con dvd Hatje Cantz.

© Riproduzione riservata