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I grattacieli di Nietzsche

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In Primo Piano

I grattacieli di Nietzsche

di Fulvio Irace
Dopo un estenuante viaggio notturno in treno, il 22 ottobre 1876, di primo pomeriggio, Friedrich Nietzsche arriva a Genova. Il primo approccio con l'Italia non è dei migliori: ha mal di testa e vomita. E per 44 ore rimane a letto. Solo la domenica successiva, lievemente ristabilito, esce per una passeggiata nel porto, dove rimane colpito dalla «calma e dai colori della sera».
È la prima volta che vede il Mediterraneo e, d'improvviso, sente che «l'occhio si è aperto come a un cieco». Forse non osa confessarlo, ma nel cuore gli si accende la speranza di potersi scrollare da dosso «la coltre di muffa» della vita passata e che sia l'Italia la terra di una nuova vita.
Per riprendersi da una grave crisi di salute, il filosofo tedesco aveva ottenuto un congedo dall'Università di Basilea. La sua meta era Sorrento, dove l'attendeva la vecchia amica Malwida von Meysenburg. Il lungo viaggio imponeva delle soste, e quindi, imbarcato sul piroscafo per Napoli, si fece lasciare a Livorno per visitare Pisa. Inseguendo climi e luoghi più adatti per poter convivere con la sua malattia, il filosofo diede così avvio al capitolo inedito di una vita senza fissa dimora, che lo portò per circa dieci anni a più o meno lunghi soggiorni in città italiane, in una fitta rete di spostamenti che lo segnalarono a Napoli e a Torino, a Genova e a Venezia, a Nizza e a Roma.
Per quanto solitaria, la sua presenza lasciò tracce nei ricordi degli amici, nelle lettere ai parenti, nei pensieri delle sue opere più famose, alcune delle quali – Aurora, ad esempio, Umano, troppo Umano e la Gaia Scienza – scritte o riviste in Italia. Su queste tracce Tilmann Buddensieg si è lanciato con la paziente ricerca del segugio, individuando le case abitate da Nietzsche, i monumenti e le opere visitate, le osservazioni scaturite da quegli incontri e subito riversate nei suoi scritti più famosi, e, soprattutto, l'analisi dei temi architettonici – da Palazzo Pitti alla Mole Antonelliana – che attirarono la sua attenzione e il suo legame con il pensiero artistico di quel fine secolo di fuoco.
Partendo dalla sua «vita da abbaino» a Genova nel 1880, Buddensieg ci fa entrare in un momento cruciale della vita di Nietzsche, che già Karl Jaspers aveva individuato come una «trasformazione profonda» dei contenuti del suo pensiero e delle sue espressioni creative. Non si trattò infatti dell'ennesima riedizione del grand tour di formazione. In Italia egli visse sentendosi cittadino delle località in cui abitava, al punto da scrivere: «Io sono genovese!».
Venezia è la città della musica e San Marco l'opera che ammira di più: non una basilica di culto, ma uno «splendore rosato», uno spettacolo naturale profano dove la perdita del simbolismo religioso è compensata dalla sua metamorfosi in arte.
A Torino ammira la struttura della città, i suoi portici senza eguali in Europa, le sue strade; frequenta con dedizione i suoi caffè, dove assiste a concerti e operette, partecipa a funerali, fa la spesa dalle ortolane, viene coccolato dai camerieri e gusta «sottili tubicini di pane» (grissini) e la cioccolata («la più famosa d'Europa»). Si entusiasma davanti alla modernità della galleria Sabauda, scintillante di vetri nella sua delicata ossatura di ferro e viene attratto dalla Mole Antonelliana («la costruzione più geniale che sia stata mai costruita») come da un'enigmatica calamita. Con i suoi 165 metri di pietra, gli appare il «risultato di un impulso assoluto verso l'alto» e la ribattezza «Ecce homo».
È l'impressione «sovrumana» del sublime, che gli si era già rivelata a Firenze davanti al «grande stile» di palazzo Pitti e alla «lungimirante bellezza» di Genova, la cui visione dall'alto lo convince del suo essere materializzazione vivente di un'«insaziabile ricerca del piacere del possesso». I grandi palazzi genovesi come gli imperiosi ritratti dipinti per i Doria da van Dyck o i giardini, rivelano il desiderio di imbrigliare la natura, di asservirla alla volontà di un «gusto», di un temperamento forte. Sono gli autocrati signori del commercio i veri autori, non gli artisti e gli architetti che si piegano ai loro desideri come anonimi servitori. Palazzo Pitti, la Mole di Torino, palazzo Doria sono vittoria del «bello» sul «colossale», anzi «eloquenza della potenza» come arte.
Da Basilea a Sorrento, da Venezia a Roma, Nietzsche si muove in treno, in diligenza, in piroscafo. Costretto a continui cambiamenti di casa si sente un "garçon meublé": ma lo spostamento non gli dà noia: «noi uomini moderni dobbiamo tutti viaggiare molto per il nostro benessere spirituale e si viaggerà sempre più, quanto più si lavorerà».
1Tilmann Buddensieg, «L'Italia di Nietzsche. Città, giardini e palazzi», Libri Scheiwiller, Milano, pagg. 270, € 18,00.

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