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Che Magnifico quel Botticelli

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In Primo Piano

Che Magnifico quel Botticelli

di Antonio Paolucci
Agli Uffizi si conserva un dipinto di Sandro Botticelli che è, allo stesso tempo, un ritratto della famiglia Medici e un autoritratto del pittore. È la celebre Adorazione dei Magi dipinta per una cappella di Santa Maria Novella circa l'anno 1475. È il quadro che, a detta del Vasari, certificò a Firenze e in Italia la fama del giovane Sandro e gli aprì la strada di Roma.
In effetti il dipinto è importante. È un capolavoro in termini di sapienza stilistica e di efficacia espressiva ma è anche una chiave per intendere la collocazione sociale e il ruolo culturale e "politico" di Botticelli nella «Florentia felix» del Magnifico Lorenzo.
Soggetto del dipinto è l'Adorazione dei Magi. La tradizionale iconografia si distingue per una singolarità che aveva già messo in figura Benozzo Gozzoli, una quindicina di anni prima, negli affreschi del Palazzo di Via Larga. I Re venuti da lontano di cui parla il Vangelo, hanno la faccia dei Medici. I membri eminenti della famiglia egemone offrono ai sacri personaggi le loro sembianze. La metafora politica è trasparente. Come i Magi hanno portato doni alla culla del Redentore, così gli uomini di casa Medici portano alla moderna Firenze ordine prosperità e pace. Si riconoscono il vecchio Cosimo in ginocchio in atto di omaggio ai piedi della Vergine, il figlio maggiore Piero in mantello rosso visto di spalle al centro della composizione, alla sua destra l'altro figlio Giovanni in veste bianca, anche lui in atto offerente. Questi sono i protagonisti storici della famiglia, tutti già morti quando Botticelli dipingeva l'Adorazione oggi agli Uffizi. Ma nel quadro, in figura di membri del corteo regale, ci sono anche i personaggi della corte e i maschi dell'ultima generazione, all'epoca ben vivi. Gli studiosi, non senza qualche divergenza interpretativa, hanno riconosciuto, fra le altre, le immagini di Lorenzo e di Giuliano, quelle di Poliziano e di Pico della Mirandola.
Ma ecco, sulla destra, l'autore dell'opera. È un giovane uomo di circa trent'anni, avvolto in un mantello color ocra lumeggiato di giallo. La sua collocazione è di assoluta evidenza, tuttavia appartata, distaccata. Egli non sembra partecipare del l'evento che coinvolge in varia misura tutti gli altri. Ci guarda con orgogliosa consapevolezza. Nessun dubbio che il giovane in mantello giallo sia Sandro Botticelli, come tutta la critica concordemente riconosce. In quest'epoca gli artisti hanno ormai raggiunto un concetto assai alto della professione e del ruolo e i committenti sono disposti a concedere loro adeguata visibilità e pubblici riconoscimenti. Si capisce anche perché, in questo caso specifico, l'ancor giovane Botticelli ci tenesse a mettersi in mostra, consapevole dei vantaggi pubblicitari che dalla prestigiosa autorappresentazione in un contesto politico così illustre, gli potevano arrivare.
Sandro Botticelli fu dunque fino dall'inizio della carriera e per tutti gli anni della sua vasta fortuna, pittore di fiducia dei Medici, artista eminente del loro entourage, fedele "militante" (diremmo oggi nel linguaggio politico moderno) del loro partito. Quando, il 26 aprile 1478, una parte dell'oligarchia cittadina guidata dalla famiglia Pazzi tentò il colpo di Stato e Giuliano de' Medici, durante la messa in Santa Maria del Fiore, cadde sotto i pugnali dei congiurati mentre Lorenzo, ferito, riusciva a salvarsi barricandosi in sagrestia, la successiva reazione fu spietata. I principali congiurati furono presi e giustiziati per impiccagione. Si ordinò inoltre che le loro effigi fossero dipinte sopra Porta della Dogana in Palazzo Vecchio perché la memoria della loro infamia servisse di monito e di esecrazione in perpetuo. Ebbene a dipingere i ritratti degli impiccati (una specie di piazzale Loreto del Quattrocento fiorentino...) fu chiamato Sandro Botticelli il quale ricevette per il macabro incarico il compenso, non piccolo, di quaranta fiorini d'oro larghi.
Di fronte ai capolavori di Botticelli che tutto il mondo conosce (la Primavera, la Nascita di Venere, Pallade e il Centauro, la Calunnia) a emergere con perfetta evidenza è l'universo culturale criptico, cifrato, sottilmente allusivo della Firenze di Lorenzo il Magnifico. La Firenze di Lorenzo il Magnifico voleva dire una ristretta cerchia intellettuale, poche decine di uomini cultori delle scienze umane e della filosofia antichizzante ma anche dell'emblematica, della simbologia, dell'araldica, del l'astrologia, della mistica esoterica. Di questo universo elitario, autoreferenziale, intellettualmente sofisticato fino allo snobismo, Sandro Botticelli fu il testimone e l'interprete più intelligente. Nessuno ha saputo capire più di lui lo spirito del tempo – di quel tempo – né meglio di lui soddisfare le attese di quella piccola elite sociale e culturale che si identificava con la famiglia Medici. Ciò spiega la sua fortuna negli anni Settanta e Ottanta del XV secolo. Spiega anche il suo successo economico che fu cospicuo, a detta del Vasari, anche se il pittore finì col dissiparlo «per avere poco governo e per trascurataggine».
Di fronte alle celebri favole mitologiche e filosofiche degli Uffizi (la Primavera in primis) iconografi e iconologi hanno dato fondo alle interpretazioni più complicate senza arrivare mai tuttavia a una soluzione univoca e condivisa. Tutto ciò probabilmente era nelle intenzioni dell'artista. Io credo infatti che per Sandro Botticelli come per i suoi "clienti" della famiglia e della corte medicea, come per gli intellettuali, i poeti, i filosofi, gli eruditi che ne frequentavano lo studio e che certo gli fornirono il necessario supporto iconografico e letterario (Agnolo Poliziano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristoforo Landino eccetera) l'elusività dei significati, la permeabilità delle immagini a più interpretazioni possibili, facessero parte del gioco. Che la sciarada "mitologico-moral-filosofica" rimanesse oscura e comunque aperta a più di una opzione, era probabilmente gradito sia all'artista che ai suoi committenti ed estimatori.
Passeranno pochi anni dalla realizzazione di quei capolavori e la cultura e la società di cui Botticelli fu interprete e testimone squisito, si dissolveranno come neve al sole. Il 21 settembre del 1494 (il Magnifico era morto da due anni e la sua scomparsa fu da molti avvertita come «finis Italiae») dal pulpito del Duomo Girolamo Savonarola annunziava, nella terribile «Predica dell'Arca», che era ormai prossimo il tempo del Diluvio, che Dio stava per stendere la sua mano su Firenze come l'aveva stesa su Sodoma e Gomorra. Quel giorno moriva una stagione della storia che il mito avrebbe trasfigurato e di cui Botticelli era destinato a diventare, nell'immaginario universale, insieme a Lorenzo il Magnifico, il mirabile emblema.

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