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Elisabeth, che Dama!

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In Primo Piano

Elisabeth, che Dama!

di Alvar González-Palacios
Forse tutto inizia con un progetto matrimoniale fallito, quello del Principe di Galles con l'Infanta Maria, nel 1623. Il futuro Carlo I si recò allora a Madrid ma invece di interessarsi alla sorella di Filippo IV si invaghì dei quadri del Re e ne aveva ben donde: essi costituivano la più bella pinacoteca d'Europa. Ebbe così inizio una storia d'amore che finì solo quanto la testa del monarca venne separata dal suo corpo dopo la rivoluzione. Carlo I, sfortunato ma coscienzioso, non aveva ereditato dal padre nulla di straordinario semplicemente perché Giacomo I non aveva interessi di nota essendo a capo di una corte in cui si pensava soltanto a darsi buon tempo. La madre di Carlo, Anna di Danimarca, era fatta di altra pasta: la si considerava una estranea, non amava i divertimenti comuni e preferiva ai cortigiani la compagnia di dead pictures, quadri defunti, seppelliti in solitarie gallerie.
Ai tempi della visita del possibile sposo Madrid era già famosa per quei fari della pittura veneziana che ancora oggi ci illuminano, soprattutto per alcuni tonanti capolavori di Tiziano, artista venerato da Carlo V e da Filippo II. Il Principe Carlo non solo perfezionò la sua comprensione della pittura ma ebbe dal Re alcuni doni superbi: basti menzionare la Venere del Pardo, di Tiziano appunto, che oggi, come ha voluto il Fato, si trova al Louvre. Non molto dopo, Carlo, poco più che ventenne, regalo dopo regalo riuscì anche ad assicurarsi, attraverso un agente a Genova, i cartoni originali di Raffaello per i famosi arazzi commissionati da Papa Leone X, conferendo di un sol colpo un carattere universale alle raccolte della corona inglese. Ebbe così inizio la sua reputazione di grande discernimento artistico; aveva anche consiglieri all'altezza dell'occasione e non va sottovalutato il ruolo di collezionisti illuminati come il Conte di Arundel o il Duca di Buckingham. Col Conte di Pembroke, il Re (fatto inconsueto altrove, ma non a Londra) farà degli scambi: gli cedette ad esempio un libro di disegni di Holbein ma ebbe uno dei più squisiti quadri del mondo, Il piccolo San Giorgio e il drago di Raffaello (dopo lunghe peripezie si trova ora nella National Gallery di Washington).
Il maggior acquisto di Carlo I fu quello della galleria dei Gonzaga che godeva ovunque d'immensa fama. La dinastia di Mantova si estingueva irrimediabilmente: gli appartamenti dei nani si svuotavano e l'ultimo Duca preferiva spendere buona parte dei suoi averi per assicurarsi una nanetta particolarmente minuta e aggraziata come chi acquista un oggetto da Wunderkammer, questione di prestigio. Le trattative per la quadreria furono estenuanti ma già sul finire del 1627, fra mille incertezze, Vincenzo Gonzaga, poco prima della morte, aveva dato il suo consenso, confermato dal nuovo Duca, Carlo di Nevers, che concesse altri quadri eccezionali come I Trionfi di Cesare del Mantegna. I pagamenti furono dolorosi e finirono solo cinque anni dopo ma se si pensa che a Londra giunsero alcuni dei quadri più famosi dell'Occidente, lo sforzo ne valse la pena. Non staremo qui a fare una lista di capolavori che molti lettori conoscono anche senza necessariamente sapere che essi appartennero a Carlo I per diversi anni. Uno dei primi personaggi a stabilire la fama internazionale del Re collezionista fu Pietro Paolo Rubens, non solo uno dei grandi pittori di ogni epoca, ma anche un eccezionale conoscitore e un accorto diplomatico. Rubens era stato intrinseco del Gonzaga, aveva dipinto per loro e aveva consigliato qualche acquisto sorprendente come La Morte della Vergine del Caravaggio (quando l'opera, ritenuta scandalosa, venne venduta a Roma dalla Chiesa per la quale era stata dipinta). Nel 1628 Rubens è a Madrid dove conosce e incoraggia il giovane Velazquez, apprezza e si fa apprezzare da Filippo IV e si bea fra i meravigliosi Tiziano. L'anno dopo si reca a Londra dove riceve grandi onori e dipinge per commissione reale non poche cose fra cui la "Banqueting Hall". Rubens sarà stato certamente lusingato da tale accoglienza e anche di sapere come il Caravaggio da lui scelto per Mantova fosse stato scelto a sua volta da Carlo I. Il pittore scrisse sul Re: egli è the greatest amateur of paintings among the princes of the world. Tutto si trasforma in un gioco geometrico di potere e di vanagloria: le opere d'arte diventano quello che talvolta sono, teoremi politici. La frase di Rubens non era solo dettata dall'opportunismo, era anche la verità. Carlo I già possedeva opere celeberrime come La Morte della Vergine del Mantegna (Prado), la Giuditta del Giorgione (Ermitage), il San Giovanni Battista di Leonardo (Louvre). Sua moglie, la Regina Henrietta Maria, sorella di Luigi XIII, teneva il passo e commissionava a Guido Reni in Italia un Bacco e Arianna per la sua stanza da letto servendosi dei buoni uffici del nipote di Urbano VIII, il Cardinale Francesco Barberini che aveva già concluso il negoziato per far eseguire al Bernini il ritratto in marmo del Re.
Purtroppo gravi difficoltà politiche minacciavano il Paese e Carlo I dovette rinunciare a nuovi acquisti. Nel 1642 inizia una cruenta guerra civile che finirà, sette anni dopo, con l'esecuzione del sovrano. Si ebbe subito qualche atto barbarico con la distruzione di opere d'arte importanti ma prevalse il buon senso e si preferì vendere gran parte di quanto si era incamerato: partirono la Madonna della Perla (Prado, creduta opera maestra di Raffaello e oggi ritenuta in parte di Giulio Romano), i Cesari di Tiziano (distrutti cent'anni dopo, nel 1734, nel l'incendio dell'Alcazar di Madrid). Gli acquirenti furono Filippo IV, l'Arciduca Leopoldo Guglielmo, il Cardinale Mazzarino e ciò spiega perché alcune tele meravigliose sono oggi a Madrid, a Parigi o a Vienna. Altri lavori passarono nelle mani di ricchi inglesi ma con la restaurazione di Carlo II vennero rivenduti alla Corona unendosi a nuovi doni e ad altri acquisti. Ma non si raggiunse più la stessa temperie intellettuale né il figlio ebbe mai l'intensità e la passione del padre. Soltanto altri due personaggi reali assumono fino a tempi recenti il ruolo esemplare di Carlo I. Giorgio III (nipote di Giorgio II e figlio di Federico, Principe di Galles, che sarebbe potuto diventare un notevole mecenate se non fosse scomparso in giovane età), architetto per diletto, intelligente, abile e voglioso, era soprattutto interessato ai disegni ed ebbe fortuna di acquistare in blocco due raccolte formidabili, quella di Joseph Smith, banchiere e console inglese a Venezia, e quella del Cardinale Alessandro Albani, nipote di un Papa. Sul console Smith molto è stato scritto nell'ultimo mezzo secolo ed è ben noto che la maggior parte dei quadri del Canaletto delle raccolte reali (una quarantina) erano stati suoi. Non solo di Canaletto si trattava: Smith vendette a Giorgio III, cinquecento dipinti e centinaia di disegni. I disegni comunque non furono tanti ne così stupefacenti come quelli entrati nella Biblioteca di Windsor direttamente da quella del Cardinale Alessandro, ben rilegati in più di duecento volumi, un ineguagliabile monumento alla gloria dell'Italia pittrice. Basti aggiungere che molti di questi fogli erano appartenuti a Clemente XI e, prima ancora, a un pittore celebre, Carlo Maratti; altri provenivano da un grande protagonista del Seicento, Cassiano dal Pozzo. Se l'erede di Giorgio III (Principe reggente durante la pazzia del padre, incoronato poi con il nome di Giorgio IV) fu anche un grande collezionista non rientra nella mostra attuale essendo noto come collezionista di cose francesi. Il solo altro sovrano inglese a occuparsi del l'arte italiana non fu inglese e non fu Re: parlo del consorte della Regina Vittoria, il Principe Alberto, che si interessò con grande acume ai primitivi del Tre e del Quattrocento: basti qui ricordare la Madonna di Gentile da Fabriano, ancora a Windsor, una pietra miliare della storia dell'arte europea. Ma questa è una strada che un giorno percorreremo in un'altra esposizione.
Il catalogo dell'odierna, esemplare rassegna non è un semplice catalogo bensì un volume sontuoso di più di quattrocento pagine con magnifiche illustrazioni e testi accurati dove ognuna della centocinquanta opere esposte viene esaminata con attenta imparzialità. Peccato che vi siano incluse due copie del Caravaggio, il Ragazzo che monda un frutto e La chiamata di Pietro e Andrea: della prima composizione esistono altre dieci copie, della seconda una dozzina. Quest'ultimo dipinto, appartenuto a Carlo I, venne esposto alla Stazione Termini di Roma con grande strepito e poca eleganza e non convinse quasi nessuno. Se si dovesse giudicare Carlo I solo attraverso queste due tele si arriverebbe alla triste conclusione che forse meritava davvero di essere decapitato. Come lo fu ma per tutt'altre ragioni.
1«The art of Italy in the Royal Collection, Renaissance & Baroque» a cura di Lucy Whitaker e Martina Clayton, Londra, Buckingham Palace, Queen's Gallery, fino al 20 gennaio 2008.
La sede

Il museo Windsor
The Queen's Gallery, a lato di Buckingham Palace, è lo spazio permanente dedicato all'esposizione a rotazione dei capolavori conservati nelle collezioni reali inglesi.
La galleria è stata ricavata da un padiglione disegnato da John Nash sul lato ovest di Buckingham Palace, che la regina Vittoria aveva trasformato in cappella privata. Nel 1940 le bombe danneggiarono gravemente questi ambienti, che vennero ricostruiti e aperti al pubblico il 25 luglio 1962, solo per ospitare rassegne temporanee.
Nel maggio 2002, la regina Elisabetta inaugurò la nuova Queen's Gallery trasformata
in una sede permanente
nella quale esibire, secondo un calendario di rassegne tematiche, gli incredibili tesori di famiglia. In questi mesi è possibile ammirare
90 dipinti e 85 disegni di scuola italiana tra Rinascimento e Barocco provenienti da palazzi e residenze reali.

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