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Orfeo, il Buon Pastore

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Orfeo, il Buon Pastore

di Fabrizio Bisconti *
La sinagoga di Dura Europos (città ai confini dell'impero romano, nell'attuale Siria, sulle sponde dell'Eufrate) propone un programma decorativo realizzato ad affresco. Tale decorazione (oggi conservata nel Museo Archeologico di Damasco) documenta quell'infrazione al divieto relativo alla rappresentazione del "sacro" che interesserà anche la civiltà cristiana dei due primi secoli. Lungo le pareti della sinagoga si snodano storie di Mosè, Aronne, Elia, Samuele, Ezechiele e si riconosce l'immagine di Davide Salmista che recupera l'antica immagine di Orfeo citaredo e che anticipa quella del Buon Pastore cristiano.
A Dura Europos esisteva una domus ecclesiae cristiana, il cui programma decorativo del battistero, staccato e oggi conservato alla Yale University Art Gallery di New Haven, presenta un'organizzazione iconografia non dissimile da quella della sinagoga, se non per l'inserimento di scene ovviamente ispirate al Nuovo Testamento. Nella lunetta che sovrasta la vasca battesimale vediamo che il Buon Pastore e Adamo ed Eva convivono per descrivere la «festa della salvezza», che prende avvio con la felix culpa di progenitori e si conclude con il recupero della pecorella smarrita.
Il Buon Pastore della domus e l'Orfeo della sinagoga sono figure che partecipano di uno stesso linguaggio, genericamente riconducibile alla tematica bucolica e che costituisce una delle ambientazioni passe par tout capaci di richiamare un contesto felice, tranquillo, beato, dunque paradisiaco.
Orfeo, poi, raffigurato mentre suona la cetra, confluisce nella cultura figurativa romana, specialmente nei pavimenti musivi, ma anche nei contesti funerari. L'immagine di Orfeo appare sulle fronti di tre sarcofagi di manifattura ostiense, uno dei quali conservato a Porto Torres, che sembrano essere utilizzati per la sepoltura di defunti cristiani, come suggeriscono le iscrizioni (anche se potrebbero essere state incise in un secondo momento). Ma la figura appare in contesti sicuramente cristiani quando decora ambienti catacombali. Orfeo citaredo appare effigiato tra due ovini, attorniato da mostri marini e uccelli. In alcuni affreschi, l'eroe è attorniato da altri animali, come in un affresco del cimitero dei Santi Marcellino e Pietro dove è accompagnato da un'aquila in volo. In un'altra pittura del medesimo cimitero si colloca alla sommità di quattro scene bibliche, dove si alternano episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, alludendo già al Cristo unificatore delle due economie. In un affresco ormai tardo del cimitero di Priscilla si accompagna alla solenne scena della Traditio legis.
Ma l'affresco catacombale più interessante è collocato a Domitilla e si riferisce agli anni centrali del IV secolo. Esso propone Orfeo citaredo al centro della volta di un cubicolo, mentre Davide con la fionda appare in un campo laterale, secondo un'iconografia rara, che torna però in un celebre affresco delle catacombe napoletane di San Gennaro. Dopo queste testimonianze antiche e oscillanti nel significato effettivo, tra l'immagine di Orfeo e Davide, la figura del cantore del mito si diffonde in tutto il mondo antico, come succede ad esempio nel mosaico pavimentale di una sinagoga a Gaza, dove si riconosce il re Davide, definito da una didascalia in ebraico, vestito di panni sontuosi, coronato, nimbato, mentre suona il kinnor bizantino tra animali selvaggi.
Da questa immagine, che un'iscrizione data al 508-509, l'iconografia del musico che ammansisce gli animali si diparte e si diffonde da Oriente a Occidente, interessando anche le arti minori, nella specie di oggetti di ceramica e di avorio. Ma anche lo ritroviamo in un mosaico pavimentale di una basilica, pure siriana, ad Apamea, del V secolo, dove si vede Adamo, identificato da una didascalia, che attribuisce i nomi agli animali. Questa iconografia – ripetuta in un mosaico di Hama e in un altro conservato a Copenaghen – si riferisce al passo della Genesi, che recita: «Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo per vedere come li avrebbe chiamati».
Appare interessante a questo punto seguire le voci dei Padri della Chiesa, che sentirono il desiderio di decodificare la figura di Orfeo, attribuendo all'immagine un significato cristologico, a cominciare da Clemente Alessandrino che tiene a precisare come il Logos sia il vero Orfeo, capace di addomesticare le bestie malvagie e feroci come il leone, il porco e il lupo. Ma potremmo continuare con Cirillo d'Alessandria, con lo Pseudo Giustino, sino a Eusebio di Cesarea: «Se Orfeo, con il suono della lira, ammansì le fiere... il Verbo di Dio fece di più: ammansì i costumi dei barbari e dei pagani».
Orfeo e Cristo si affrontano, si sovrappongono e si sciolgono attraverso l'esegesi dei Padri. Il Buon Pastore intrattiene con Orfeo, Adamo, Davide e con il Cristo molti motivi di confronto e, se nella letteratura patristica si apprende che un nesso collega Cristo ad Adamo, a maggior ragione Orfeo si giustappone al Buon Pastore, tanto che due singolari affreschi catacombali propongono altrettanti pastori che vigilano rispettivamente sugli animali da cortile a Priscilla, su pesci e ovini nel cimitero della via Ardeatina. È noto come la figura del Buon Pastore provenga dall'immaginario relativo all'otium campestre e, segnatamente, all'idillio agropastorale, dal quale viene estratto il tipico villico con l'ovino sulle spalle. Il contesto ameno, già definito in età ellenistica, trova la sua più compiuta realizzazione nei cosiddetti sarcofagi "a grandi pastorali", prodotti in un atelier romano negli anni centrali del III secolo. Da questi contesti, che rappresentano dei veri e propri "tessuti bucolici", emerge la figura del pastore con la pecorella sulle spalle che, in realtà, è tipica di molte epoche e culture, in quanto espressione simbolica dell'offerente, del crioforo (portatore di agnello), di colui che reca la vittima sacrificale. Come figura abbreviata di una scena pastorale, il crioforo fu simbolo della philantropia e della humanitas, impersonando il Mercurio psicopompo, colto mentre conduce le anime dei defunti nell'aldilà. In questo senso dobbiamo considerare affreschi pagani, sincretici e cristiani: così nell'ipogeo della via Trionfale, così sulle catacombe di Vibia, così in un arcosolio di San Sebastiano, dove nel corso del IV secolo l'immagine del Buon Pastore convive con quella di Mercurio e dell'Orante.
Nell'arte paleocristiana la figura del Buon Pastore costituisce, con l'immagine dell'Orante, uno dei due ideogrammi della storia della salvezza, impersonando rispettivamente il Salvatore e il defunto. L'«Io sono il Buon Pastore» del vangelo di Giovanni diviene argomento privilegiato dell'esegesi patristica, a cominciare dall'epitaffio di Abercio vescovo di Gerapoli che si definisce «discepolo del pio pastore». Il Buon Pastore diviene il più eloquente tipo cristologico, tanto che nel martirio di Policarpo si paragona Cristo, salvatore delle anime e guida dei nostri corpi, a pastore della Chiesa cattolica nel mondo, e nel Paedagogus di Clemente Alessandrino si allude al Logos come a un sollecito pastore dei bambini, cioè a un pedagogo che conduce i fanciulli alla salvezza. Un brano del De pudicitia di Tertulliano ci suggerisce che già tra la fine del II secolo e gli esordi del III il crioforo ha sicuramente un significato cristologico.
*Segretario della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra

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