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Dynasty subalpina

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In Primo Piano

Dynasty subalpina

di Valerio Castronovo
Come si spiega che un piccolo principato sul crinale delle Alpi, quale era in origine quello dei Savoia, sia giunto a costituire nella Penisola la più robusta fra le regioni-stato d'ancien régime sino a saldare il suo destino con quello della rivoluzione nazionale italiana? Pur senza ambire di dare una risposta esaustiva a questi e altri interrogativi che la vicenda dei Savoia continua a suscitare, Walter Barberis ritiene che il bandolo della matassa vada rintracciato nella strategia, di volta in volta sagace o azzardata, di cui la dinastia si rese protagonista soprattutto tra la seconda metà del Cinquecento e il Settecento, che le consentì di farsi largo. È questo il filo conduttore di un volume collettaneo curato dallo storico torinese e da lui introdotto (in cui figurano i saggi di Christopher Storrs, Geoffrey Symox, Andrea Merlotti, Paola Bianchi, Alberto Conte e Livia Giacardi, oltre a un repertorio iconografico di Clara Goria).
Dunque, poco più di due secoli su quasi dieci di esistenza del casato, nel corso dei quali, a giudizio di Barberis, la storia dei Savoia visse «i suoi momenti migliori», mai più eguagliati nemmeno nell'Ottocento che pur viene considerato il loro periodo più fulgido. In effetti, dopo il recupero nel 1559 da parte di Emanuele Filiberto (nipote dell'imperatore Carlo V e vincitore dei francesi a San Quintino) dei territori perduti dal padre, andò consolidandosi l'assetto dei domini sabaudi (che nei primi decenni del Quattrocento erano ancora un intarsio confuso di libertà comunali e giurisdizioni feudali ed ecclesiastiche) e crebbero le fortune del ducato sabaudo, sino all'acquisizione nel 1713 del titolo regio.
Eppure, molte circostanze congiuravano contro la formazione di uno Stato accentrato e compatto, in grado di sottrarsi alla morsa di Francia e Spagna. Quella dei Savoia era una dinastia povera in canna, il gettito delle finanze bastava si e no a garantire l'armamento dell'esercito, l'agricoltura non assicurava in genere proventi decorosi e scarse erano le attività manifatturiere. Oltretutto le guerre di Carlo Emanuele I per il Monferrato, la peste del 1630 e le lotte dinastiche di successione del 1637-42 avevano mietuto molte vittime, dissanguato l'economia, ed esposto il ducato alle ingerenze della monarchia francese sino a divenirne talora una semplice pedina.
Nell'affresco tracciato da Barberis vengono posti in luce vari fattori che portarono al consolidarsi di una monarchia assoluta più o meno analoga alla maggior parte di quelle coeve in Europa: dalla lealtà senza ripensamenti dell'aristocrazia verso il sovrano, alla creazione di un apparato amministrativo capillare gestito da una nobiltà di toga e da elementi di estrazione borghese altrettanto zelanti che competenti, all'allestimento di un contingente di milizie paesane, destinato a divenire l'embrione di un esercito nazionale. Una mutazione dovuta non soltanto al dispotismo riformatore con cui i Savoia (in specie con Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III) costrinsero la nobiltà a un'obbedienza incondizionata, eliminarono un coacervo di autonomie cittadine, ridussero i privilegi ecclesiastici, e seppero avvalersi dell'opera di alcuni abili diplomatici e di uno stuolo di avvocati-burocrati dotati di spirito pratico. Alla solidità dello Stato contribuì anche la progressiva trasformazione dal basso di una società originariamente amorfa e disarticolata in una comunità tutta patria e dovere, ancorché soggetta a molte privazioni e a prelievi fiscali spietati.
Se ciò avvenne, fu perché la causa della dinastia s'identificava di fatto con quella di tanti contadini, pronti ad accorrere con le armi in suo aiuto. E ciò, in quanto difendevano in tal modo anche una manciata di terra che essi (in maggior numero che in altre contrade italiane) avevano acquisito grazie alla progressiva riduzione di feudi e beni demaniali. D'altra parte, come sottolinea Barberis, a rafforzare l'apparato militare dei Savoia fu una schiera di tecnici, di ingegneri e matematici, di esperti in materie fisiche e chimiche (assecondati nella loro opera da Vittorio Amedeo III, attento per contro a emarginare quanti fossero sospetti di idee illuministiche), che crearono un poderoso corpo d'artiglieria e un Arsenale che sarebbe divenuto poi il vivaio di una futura "aristocrazia operaia". Ma questo naturalmente è un altro capitolo della storia sabauda.
1 Autori vari, «I Savoia. I secoli d'oro di una dinastia europea», a cura di Walter Barberis, Einaudi, Torino, pagg. 246,
€ 34,00.

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