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Fotografa da trincea

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Fotografa da trincea

di Laura Leonelli
Lo aveva indossato per pochi mesi, il suo nuovo nome, Gerda Taro, quasi fosse un abito, buono per i caffè di Parigi come per la guerra di Spagna. Nome e cognome, e in mezzo solo ventisette anni di vita, trascorsi in Germania, agli albori del nazismo, quindi in Francia e da lì sul fronte incandescente di Brunete. A ricordare questa figura così tragica e moderna, donna e personaggio insieme, intervengono oggi una mostra e due libri. Un triangolo, dall'International Center of Photography di New York, dove è aperta fino al 6 gennaio la retrospettiva, «Gerda Taro», al breve ma coinvolgente racconto di Francois Maspero, L'ombre d'une photographe, Gerda Taro, edito a Parigi da Seuil (pagg. 140, € 14,00), alla versione italiana della biografia di Irme Schaber, la più esaustiva, Gerda Taro. Una fotografa rivoluzionaria nella guerra civile spagnola, in uscita a metà novembre per DeriveApprodi di Roma (pagg. 192, € 15,00).
Un'ombra, dice di lei, Maspero, famiglia nella Resistenza, libraio nel Quartiere Latino a 23 anni, quindi editore. Ed è curando la pubblicazione in francese del diario spagnolo di Pietro Nenni, che Maspero, alla ricerca di un'immagine per la copertina, scopre che dietro molte fotografie firmate Robert Capa, per non dire dietro lo stesso personaggio "Capa", si nasconde, appunto, l'ombra sottile, bionda con riflessi rossi, di Gerda Taro. E probabilmente a Gerda, questo gioco di destini incrociati, nel nome della libertà e del sacrificio personale, sarebbe piaciuto molto. Si sarebbe sentita a casa, lei che di case ne ha cambiate tante. La prima, degna di una famiglia borghese e liberale di ebrei polacchi, è a Stoccarda, dove Gerda Pohorylle, il suo vero cognome, nasce nel 1910. Pochi anni dopo ed è la volta di Lipsia, una boccata di aria fresca all'insegna di quel "Wandervogel", che spinge i giovani del primo Novecento a immergersi nella natura e a emancipare il corpo da ogni convezione, abiti compresi. Anche Gerda si spoglia e in un attimo si ritrova in collegio a Ginevra. Altra divisa, altri studi ed eccola di nuovo a Lipsia, marzo 1933, Hitler al potere da gennaio, a distribuire volantini dell'Opposizione Sindacale Rivoluzionaria. L'arresto avviene una sera e in cella Gerda è in abito da cocktail, «scusate – dirà alle altre detenute – mi hanno preso mentre andavo a una festa». Ma il suo passaporto polacco è ancora una garanzia di libertà. Rilasciata Gerda fugge in Francia insieme a un'amica, Ruth Cerf. A Parigi, le ragazze frequentano il Cafè Capoulade e il Dome, e qui incontrano personaggi come Willy Brandt, fuoriuscito dalla Norvegia, Arthur Koestler, allora agente segreto del Komintern, e un giovane fotografo ungherese, Andrè Friedmann, in fuga anche lui da una dittatura, quella di Horthy. Complice una pubblicità per un'assicurazione svizzera e Gerda e Andrè si conoscono, più da vicino. Amore grande, poche stanze insieme e un sogno, diventare, per quanto riguarda Andrè, «ricco, celebre, affascinante e americano».
Se Friedmann è il primo attore, Gerda è la regista. È lei a inventarsi quel nome, Robert Capa, lei a insegnargli l'arte dell'eleganza. In cambio Bob, nel suo nuovo esotismo hollywoodiano, le offre i primi rudimenti della fotografia e Gerda, a sua volta trasformatasi in Taro, omaggio al fascino di Greta Garbo, lascia i panni della segretaria dell'agenzia fotografica Alliance e diventa fotografa. Il battesimo avviene a luglio del 1936, guerra di Spagna. Gerda e Robert lavorano vicini, ma la firma è una sola, quella di Capa. Pochi mesi e le fotografie delle macerie e dei soldati in festa portano la dicitura Capa&Taro. Un anno dopo, nel 1937, Gerda è solo Taro ed è lei sola a fotografare l'assalto di Brunete. I repubblicani sono in fuga. Gerda, sul predellino di una macchina, scatta e urla di resistere fino a quando un carroarmato la investe. È il 25 luglio, morirà il giorno dopo. Ai funerali a Parigi, Louis Aragon trattiene Capa in preda alla disperazione. Anni dopo, piangendo, Bob confesserà di non aver amato nessuna come lei.
1«Gerda Taro». International Center of Photography, New York, fino al 6 gennaio. www.icp.org

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