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Quel Raffaello finito a mollo

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Quel Raffaello finito a mollo

di Marco Carminati
Anche se non è facile riconoscerli a colpo d'occhio, non pochi dipinti conservati nei musei hanno una singolare origine: nacquero per essere dei regali diplomatici. Nel libro Sulle tracce del drago. Storia segreta di un capolavoro dell'arte italiana, Joanna Pitman ricostruisce nei minimi dettagli la storia di uno di questi preziosi "presenti", seguendone vicende e vicissitudini dal concepimento ai nostri giorni. Vicende e vicissitudini che sono così ricche ed emozionanti da costituire di per sé la trama di un avvincente romanzo. Soggetto del libro è il delizioso quadretto di Raffaello, largo una spanna e alto poco di più, che illustra San Giorgio che uccide il drago e che oggi si conserva nella National Gallery di Washington.
Questa tavoletta nacque espressamente come regalo. È il 1506. Il giovane Raffaello Sanzio viene convocato alla corte di Urbino dal signore della città Guidobaldo II Montefeltro. Due anni prima il duca era stato insignito dell'Ordine inglese della Giarrettiera (istituito a Windsor da Edoardo III, il 23 aprile 1348, festa di San Giorgio). Dunque, il duca volle commissionare a Raffaello un'immagine del santo protettore dell'Ordine da inviare a re Enrico VII d'Inghilterra come segno di profonda riconoscenza. Il soggetto del dipinto – nel quale l'ardimentoso Giorgio salva la principessa dai pericoli di un drago che uccideva le persone mediante folate d'alito pestilenziale – incarnava il perfetto ideale cavalleresco di corte. Osservate il quadro e aguzzate la vista: il San Giorgio indossa una giarrettiera con il celebre motto «Honni soit qui mal y pense», mentre su uno dei finimenti del cavallo si legge la curiosa firma «Rapphello».
Dipinto nel 1506, il quadro cominciò il suo lungo viaggio. Baldassarre Castiglione lo accompagnò a Londra per consegnarlo di persona al re. Il diplomatico italiano venne accolto con tutti gli onori, ma inspiegabilmente il quadro non finì nelle mani dei Tudor. Il motivo resta un mistero, uno dei tanti che circondano il quadro. Il quale ricompare oltre un secolo dopo a Wilton House, la casa di William Herbert, signore di Pembroke. Qui, una sera di giugno del 1627 erano arrivati re Carlo I e la regina Enrichetta Maria. Portato a visitare la galleria, il monarca venne fatalmente attratto dal piccolo Raffaello e se ne innamorò. Il conte di Pembroke capì che era giunto il momento di separarsi dall'opera. Chiamò un incisore fiammingo e fece trarre una stampa; poi, cedette al re la preziosa tavola.
Carlo I era un famelico collezionista (belle le pagine della Pitman che descrivono le collezioni reali), ma è ben noto che la rivoluzione di Cromwell e la condanna a morte del sovrano provocarono la dispersione del suo patrimonio artistico. Dopo l'esecuzione di Carlo, i quadri vennero messi in vendita. Il San Giorgio e il drago di Raffaello venne esitato il 19 dicembre del 1651: la valutazione era altissima, 150 sterline, e l'opera finì nelle mani di un certo Edward Bass, uno dei tanti creditori del re. Che se ne disfò molto presto, preferendo la moneta sonante ai colori di Raffaello.
Il quadro oltrepassò di nuovo la Manica, destinato stavolta alla Francia. E transitò attraverso diverse mani: prima in quelle di Charles d'Escoubleau, poi in quelle di Laurent le Tessier de Montarsy, per approdare infine, ai primi del Settecento, nelle raccolte di Pierre Crozat, uno degli uomini più ricchi di Francia, nonché strepitoso collezionista. Fiore all'occhiello del Cabinet Crozat (riccamente descritto in molte pagine del libro), il San Giorgio e il drago finì col destare i forti appetiti di una donna abituata a ottenere tutto ciò che voleva: Caterina II di Russia. Costei aspettò con impazienza che Crozat trapassasse e che i suoi beni venissero messi in vendita. Aiutata nelle estenuanti trattative d'acquisto nientemeno che da Diderot, nel 1772 la zarina riuscì finalmente ad assicurarsi il quadro di Raffaello assieme a molti altri capolavori della collezione Crozat, destinandoli al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo, allora nuovo di zecca. Nel 1837, proprio nel museo, il quadro rischiò moltissimo. Nell'edificio era scoppiato un vasto incendio e la tavola di Raffaello uscì incolume, ma solo per un pelo. Il peggio, comunque, doveva ancora venire.
Allo scoppio della Rivoluzione nel 1917, l'Ermitage venne chiuso e una parte delle opere evacuate e spedite a Mosca. Da Mosca alcune casse tornarono a Pietrogrado. Per tre anni interi, il San Giorgio e il drago rimase chiuso in una cassa, andando avanti e indietro su treni e camion nella tundra sovietica, in balia dei rivoluzionari ubriachi e dei bombardamenti dei convogli. Quando finalmente venne riappeso all'Ermitage, un tubo del riscaldamento si ruppe improvvisamente andando a inzuppare d'acqua il quadro. Evidentemente, San Giorgio mise la sua mano dal cielo, perché il quadro uscì quasi indenne anche da quel micidiale bagno caldo.
Poiché Stalin andava dicendo di preferire i trattori alle opere d'arte, nel cuore di una notte di primavera del 1930 avvenne il fattaccio: la tavoletta di Raffaello venne staccata furtivamente dalla parete dell'Ermitage, imballata alla luce delle candele e spedita in gran segreto a Berlino. Qui, ad attenderla, c'era Andrew Mellon, segretario del Tesoro degli Stati Uniti, disposto a pagare ai russi 745mila dollari pur di accaparrarsi il capolavoro. Mellon portò il quadro in America, cominciando ad accarezzare il progetto di istituire un grande museo pubblico a Washington per ospitare la sua collezione. Naturalmente si trattava di un progetto segretissimo, ma il collezionista fu costretto a svelarlo quando il fisco lo accusò di frode fiscale, trascinandolo in tribunale. Fu qui che Mellon si decise a parlare, svelando ai giudici come si era approvvigionato dei quadri e che di lì a poco sarebbe sorto a Washington, totalmente a sue spese, un grande museo dove tutti avrebbero potuto ammirare gratuitamente i suoi tesori. Tra questi ci sarebbe stato, sano e salvo, anche il San Giorgio e il drago di Raffaello.
1Joanna Pitman, «Sulle tracce del drago. La storia segreta di un capolavoro dell'arte italiana», Longanesi, Milano, pagg. 272, € 17,60.
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