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Un Blanc che tende al verde

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Un Blanc che tende al verde

di Angela Vettese
Un muro di verde. Siamo abituati a vedere edera, viti, rose che si arrampicano in verticale con felice irregolarità. Ma lo spettacolo che si presenta a chi visiti la nuova Caixa Forum di Madrid, una sede espositiva per l'arte contemporanea restaurata da Herzog e De Meuron e presentata al pubblico nei giorni della fiera Arco, è un giardino verticale dove il caso non trova quasi posto: la superficie che sovrasta la piazzetta è una rincorsa di verdi acidi e dolci, di rossi scuri degli aceri giapponesi, di rossi chiari, blu e arancioni delle bacche e dei peduncoli. Così tutti molti generi di materie si incrociano nello stesso microambiente, dalla vecchia costruzione a intonaco con due tetti spioventi, sovrastata da un pizzo di ferro arrugginito e forato, fino al cemento, alla resina, all'acqua che caratterizzano il vuoto del piano terreno. La cascata di vita sul muro, solo apparentemente immobile e in verità animata da un impulso alla crescita verso l'alto, si impianta su di un tipo di feltro particolare brevettato e si nutre d'acqua e delle stesse sostanze che usualmente si trovano nella terra.
L'autore è Patrick Blanc, francese, specialista di difficile classificazione: artista, botanico, architetto del verde? Le sue realizzazioni precedenti non fanno che confermare questa poliedricità, a partire dalla parete per la Fondation Cartier sempre a Parigi per giungere al Pershing Hall Hotel, al Club Med e agli abiti che ha presentato in passerella nella sfilata di Jean Paul Gaultier. Docente all'Università di Jussieu, insegna ciò che definisce «strategie che consentono alle piante di usare solo una frazione di luce per elaborare complesse minitattiche di adattamento».
Ora il suo genio è riportato all'attenzione del pubblico italiano da un suo delizioso libretto, intitolato Il bello di essere pianta e parte di una serie di nuove uscite per la collana «Oltre i giardini», a cura di Michela Pasquali, concepita dalla casa editrice Bollati Boringhieri. A condurre il racconto in prima persona è una sonerila, una piccola pianta da sottobosco, che racconta il mondo visto dal basso e soprattutto da chi non ha cervelli intelligenti da trascinarsi sulle spalle e non per questo manca di saggezza. Sa di far parte di quelle poche specie che affascinano l'uomo anche da vive, per la loro armonia e per il senso di natura che sanno restituire. La maggior parte, dice «è sempre da morte che interessano, sia che finiscano sotto i denti, nell'acqua bollente o sotto la lama di una motosega. Altre sono semplicemente salassate per ottenere resina o lattice».
La storia, che non ha trama ma ha una filosofia legata all'uso sbagliato delle risorse energetiche da parte del'uomo, è ricca di spunti scientifici nascosti sullo stile divulgativo di Stephen Jay Gould. Questo piccolo libro, come del resto gli altri della collana e le stesse realizzazioni artistiche di Blanc, testimoniano di un mutato rapporto con la natura sia da parte di singoli individui, sia da parte delle correnti artistiche.
Il consiglio memorabile di Voltaire di «coltivare il proprio giardino», agli occhi più sensibili del nostro tempo, non ha più nulla dell'invito all'isolamento dopo le delusioni ricevute nel rapporto col mondo. La natura non è più letta come in contrasto con l'uomo ma, se possibile, come l'unico mezzo per salvarlo, sia nella declinazione di una gentile anche se faticosa e disciplinata pratica quotidiana, come del resto qualsiasi forma del "prendersi cura", sia esso inteso nel senso di Heidegger o nella sua interpretazione zen. La botanica sembra una via per studiare l'uso dell'energia e per capire come imparare dai vegetali a far fronte senza sprechi alle nostre esorbitanti necessità. Biologia e sociologia si intrecciano sotto il segno di un'alleanza necessaria, non più dilazionabile.
Certo c'è stata la land art a interpretare dai tardi anni settanta preoccupazioni ecologiste dello stesso tenore. L'arte che nacque allora, però, si presentava sotto la forma di un avvertimento e aveva grandi forme simboliche, dalla spirale nel lago salato di Robert Smithson al doppio graffio nel deserto roccioso di Michael Heizer. Oggi si inseguono interventi più piccoli, meno eroici, più mirati soprattutto ad avere una valenza urbana. Se Patrick Blanc è il prodotto più chic e anche più colto di questa tendenza, ricordiamoci del fenomeno dilagante dei "guerrilla garden" nato nei luoghi disagiati di Manhattan ed esportato da lì in molti centri cittadini destinati al cemento: i girasoli possono uscire da un tombino, i lillà da una montagna di rifiuti e una bordura di lauro ceraso, potata secondo il meglio dell'ars topiaria, può animare uno spartitraffico smangiucchiato dal tempo.
Blanc non interpreta solo il nostro bisogno di gerani, intesi come simbolo di decorazione e rispettabilità, ma soprattutto il senso di una nuova alleanza tra l'uomo e il regno vegetale nel suo complesso, vitale, sensibile e saggio accompagnarci lungo la vita, senza dimenticare che è da questo che essa è passata a noi e non viceversa. Ancora oggi ne siamo schiavi e non padroni.
1Patrick Blanc, «Il bello di essere pianta», Bollati Boringhieri, Torino,
pagg. 92, € 16,00.

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