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Annegati nel verde

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In Primo Piano

Annegati nel verde

di Fulvio Irace
Parola di Bloomberg, sindaco di New York: nel 2030 la città avrà un milione di alberi in più. Nel frattempo la vecchia ferrovia High Line si sta trasformando in un'oasi bucolica di giardini sospesi: così gli architetti Diller-Scofidio-Renfro sperano di trasformare i flussi della città industriale nei passeggi di nuovi flâneur metropolitani in un'Arcadia sospesa a mezz'aria.
A Madrid sta avendo grande successo un gigantesco cilindro metallico circondato lungo i lati da piante e alberi in vaso, mentre a San Francisco, la "macchina verde" della California Academy of Sciences di Renzo Piano vanta un prato al posto del tetto. «Landscape is in the Air!». E, come dice Winy Maas, leader del gruppo olandese Mvrdv specializzato nella creazione di paesaggi artificiali, il termine "paesaggio" è ora usato dagli architetti con la stessa frequenza dell'intercalare "fuck" per gli americani.
Con più eleganza, Angelo Sampieri in un pamphlet dal titolo Nel Paesaggio, (Donzelli editore, € 25,00) evidenzia molti luoghi comuni nella coscienza dell'ecologicamente-corretto di questi ultimi anni. «Nel discorso su città e territorio, il ricorrere dei riferimenti al paesaggio diventa da un certo punto incessante. Un diluvio. Chiunque abbia qualcosa da difendere o contestare fa riferimento al paesaggio. In campo architettonico urbanistico, ma anche nella geografia, nella storia, nell'economia e nelle scienze sociali».
Una riprova? Se le prime riviste di paesaggio, come l'americana «Landscape architecture», risalgono agli inizi del 900, a partire dagli anni 80 si registra una crescita esponenziale di strumenti di comunicazione sul tema, anche di divulgazione non specialistica, mentre si moltiplicano corsi di laurea, associazioni e persino annunci pubblicitari di società immobiliari e real estate. Al posto di case, paradisi domestici, dove una natura ricreata esorcizza il minaccioso skyline della città che sale.
Non solo, però. Dopo gli esperimenti del Parc Citroën a Parigi o di West 8 a Rotterdam una nuova nozione di paesaggio senza forma, disperso entro uno "sporco" residuo di tracce e residui urbani, si è affermata grazie anche alla aesthetic suasion dei fotografi della nouvelle vague – i paesaggisti della camera oscura del XXI secolo – che ci hanno introdotto a una nozione postmoderna di "pittoresco" che a prati e giardini sostituisce la desolazione del "terrain vague" e del junk space postindustriale.
Com'è possibile, dunque, che lo stesso termine «paesaggio» arrivi a comprendere tante cose così diverse?
«Perché l'idea di paesaggio – scrive Sampieri – è un'idea a bassa definizione. È sfumata e continuare a parlarne non aiuta a precisarla». Anzi, la sua vaghezza è proprio la sua forza, il cemento inattaccabile della sua planetaria diffusione, perché, come aveva capito Baudelaire, «se per disgrazia ci si capisse, non ci si metterebbe mai d'accordo».
Un «umanesimo acquietante»: è questa la promessa implicita in ogni discorso sul paesaggio! Sospendendo come per incanto ogni conflitto sull'uso sociale della città e sulle difficoltà della trasformazione, la senso-logia prende il posto della vecchia ideologia e, come per incanto, fa tabula rasa di tutte le difficoltà politiche della cultura del progetto. Tutto il presente può essere recuperato, persino l'azzardo urbanistico risanato. Magari trasformando i muri in "giardini verticali" e un profilo incombente in cime tempestose.

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