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Morandi? È dietro il cactus

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Morandi? È dietro il cactus

di Maria Cristina Bandera
«Ogni cosa al suo destino». Con questa asserzione, che celava il rammarico per la perdita di un dipinto importante, Giuseppe Raimondi concludeva l'articolo apparso su «Il Resto del Carlino» l'11 giugno 1975. Non c'è da dargli torto.
La storia narrata è emblematica dell'affinità elettiva fra due giovani, un letterato e un pittore che si incontrano nel 1916 a Bologna, desiderosi di riprendere un cammino culturale che spalancasse loro nuove porte. Il letterato, nemmeno ventenne, è il Raimondi stesso che tra il 1918 e il 1919 fonda «La Raccolta» e che subito dopo, divenuto redattore de «La Ronda», si trasferì a Roma. Il pittore, ventiseienne, è Giorgio Morandi, il cui nome era noto solo alla ristretta, ma qualificata, cerchia di artisti e letterati.
Dal titolo dell'articolo – Morandi si guardò in quel dipinto e non si piacque – si intuisce la storia che riprendiamo. Il letterato ricorda di quando l'amico gli comunicò che intendeva dipingere il proprio ritratto, aggiungendo che «se riusciva di suo gusto» glielo avrebbe riservato, forse con la gratitudine di chi era consapevole di avere conosciuto le opere metafisiche di Carrà e De Chirico dalle pagine de «La Raccolta». Il fatto risale al 1919 e comprende i mesi in cui Raimondi era a Roma.
Per questo ne è rimasta traccia nella corrispondenza indirizzatagli dal pittore, pubblicata nel volume Anni con Giorgio Morandi nel 1970. Nella lettera del 15 novembre 1919 il pittore scrive: «Il ritratto a momenti è asciutto». Il destinatario, pubblicandola, chiosa la notizia con la nota: «É l'Autoritratto Metafisico del 1919, già di proprietà di Giuseppe Raimondi». Questi, conclusisi gli impegni de «La Ronda», riportò l'Autoritratto a Bologna appendendolo nella nuova casa con altri dipinti di Morandi. Il pittore riprese a frequentare l'amico, anche attratto dai libri e dalle riviste francesi che egli riceveva e in quelle occasioni i suoi occhi non mancavano di correre «alle pareti dove erano appese le sue tele», in particolare all'Autoritratto.
Raimondi racconta poi di come «negli anni dopo il '20» cambiò vari domicili e di come, in ogni abitazione, si ripetessero «le lunghe occhiate» dell'amico verso quel dipinto, finché un giorno egli esclamò: «Una volta o l'altra, questo ritratto dovresti ridarmelo; ti darò in cambio un'altra cosa». Con sgomento di Raimondi, «l'autoritratto del 1919 prese la porta di casa insieme a colui che lo aveva dipinto».
A conclusione dell'articolo, Raimondi dà conto di quella che credeva essere stata la fine dell'Autoritratto: Morandi «mi disse un certo giorno, ed eravamo nel suo studio, che lo aveva distrutto», aggiungendovi di non sapere «il modo e i mezzi in cui si svolse l'operazione, l'atto di eliminazione del famoso dipinto».
Nonostante questo racconto dettagliato, un alone di mistero circonda i fatti di quegli anni. Lamberto Vitali, infatti, imprenditore, studioso d'arte e collezionista oltre che persona prossima a Morandi, poiché a lui si deve la prima monografia sul pittore e a lui siamo debitori dei cataloghi generali delle sue incisioni e dei suoi dipinti, nel secondo dei due repertori elenca la propria collezione tra quelle in cui transitò l'Autoritratto. Pur concordando con Raimondi che la tela «fu distrutta dal pittore», motivo per cui l'Autoritratto al numero 33 del Catalogo generale viene pubblicato con una vecchia foto in bianco e nero e senza le misure, Vitali fornisce un'indicazione preziosa che poteva derivare solo dalla conoscenza diretta del dipinto. Nella scheda, infatti, annota che la tela «recava a tergo il dipinto di un "Cactus in un vaso"».
A fronte dell'Autoritratto, nella pagina di destra dello stesso repertorio del 1977, al numero 34, forse fuorviato dal racconto della distruzione della tela fattogli da Morandi, o forse, come oggi all'evidenza dei fatti sembra più probabile, per acconsentire al "segreto" di cui il pittore poteva averlo fatto partecipe, Vitali cataloga un Cactus, in questo caso riportandone le misure «cm. 44 x 32,5». Indica come riferimento cronologico lo stesso 1917 ipotizzato per l'Autoritratto senza farne riferimento, lasciando intendere che si trattava di una diversa tela. Una segnalazione che non è comprensibile da parte di chi ne era stato possessore e doveva ben conoscere il Cactus dipinto sul verso dell'Autoritratto, così da sapere di essere di fronte alla medesima opera, soprattutto se si pensa all'unicità di un olio con questo soggetto nella produzione morandiana.
Com'è facile intuire da quanto detto, Morandi non infierì sul proprio Autoritratto con la foga di un artista bohémien, ma, salvaguardando la tela anche per le ristrettezze economiche, si limitò a celare le proprie fattezze facendo rintelare la tela su quel verso, conservando l'altra "faccia", quella dove era – ed è – dipinto il Cactus.
Dal momento che "ogni cosa" ha il "suo destino", è evidente che quello dell'Autoritratto non era di scomparire per sempre. L'insistenza di chi scrive presso il proprietario del Cactus affinché lo concedesse per la mostra monografica sul pittore apertasi in questi giorni al Metropolitan Museum of Art di New York, la sua disponibilità e l'attenzione per la situazione conservativa del dipinto e, soprattutto, l'occhio attento del restauratore alla cui esperienza era stato affidato prima che si allestisse l'esposizione, hanno fatto sì che l'Autoritratto ricomparisse, anche se non in tempo per essere inserito in catalogo.
L'eccezionale scoperta spetta, infatti, a Giovanni Rossi il cui suggerimento di riportare "in prima tela" il Cactus affidato alle sue cure ha consentito di rintracciare casualmente, sotto la rintelatura, sull'altro lato della tela e orientato in senso contrario, l'Autoritratto del 1919, facendo ritornare alla "vita" e allo "studio dei viventi", un dipinto, ritenuto da Raimondi "di capitale importanza per la storia dell'arte contemporanea".
Trasgredendo alle volontà del pittore che credeva di averlo celato per sempre, l'Autoritratto accoglie ora i visitatori nell'esposizione al Metropolitan Museum che ha definitivamente fatto entrare Morandi «nell'olimpo dei pittori del XX secolo», come ha sottolineato Philippe de Montebello, e che presenta «i cinquant'anni della sua carriera come stanze di un unico lungo poema, una specie di Divina Commedia del piano di posa», come ha scritto l'influente critico del «New York Times». Auguriamoci, così, che Morandi non "ce ne voglia".

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