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Nouveau Réalisme al Pac

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Nouveau Réalisme al Pac

di Ada Masoero
«Il Nouveau Réalisme è vivo e lotta insieme a noi» si potrebbe dire, parafrasando uno slogan in voga nei suoi anni d'oro, a commento della mostra che Renato Barilli dedica a questo movimento bicipite, cresciuto tra Parigi, la città del suo critico-demiurgo, Pierre Restany e della gran parte dei suoi artisti, e Milano, la città in cui lo stesso Restany spendeva molto del suo tempo lavorando per «Domus», dove operava la Galleria Apollinaire di Guido Le Noci, la prima a presentarli in una mostra, nella primavera del 1960, e dove lavoravano (e lavorano) Arturo Schwarz e Gino Di Maggio, anche loro imprescindibili compagni di strada di quel gruppo di irriverenti "guastatori" ormai riconosciuti però come maestri. Tanto che Spoerri ha ricevuto giovedì scorso l'Ambrogino d'Oro.
Per celebrare il Nouveau Réalisme, Barilli ha compiuto una scelta singolare: non di rievocarne il decennio "storico", tra il 1960 e il 1970, oggetto per altro di una recente mostra al Grand Palais di Parigi, bella ma un po' ingessata (è un vizio dei francesi) bensì di partire dalla sua fine, celebrata nel 1970 proprio a Milano, insieme al decennale, in una lunga kermesse culminata nel banchetto funebre organizzato da Daniel Spoerri che con un ultimo sberleffo fu ribattezzato "L'Ultima Cena". Di sberleffi del resto questo movimento insieme eversivo e propositivo ne aveva lanciati a non finire, da estremo erede del Futurismo e del Dadaismo quale era: basti dire che all'atto del congedo, Tinguély eresse un enorme fallo eruttante fuoco sul sagrato del Duomo di Milano, facendo traballare per un attimo la poltrona di assessore alla Cultura di un esordiente Paolo Pillitteri, mentre Christo impacchettava il Vittorio Emanuele a cavallo scatenando i furori dei monarchici. La mostra del Pac, affollata, esuberante, impetuosa e concitata come erano loro, segue dunque tutti i protagonisti di quel movimento che, come il New Dada e la Pop Art, volle dar voce ai prodotti dell'industria nel momento in cui si imponevano il consumismo e la cultura di massa. Ma li segue solo dopo quel fatidico 1970, e prova come tutti abbiano poi continuato a muoversi (taluni, a ben vedere, fin troppo fedelmente) entro le coordinate di allora, capaci di reggere alla prova del tempo. Mancano solo Klein, morto nel 1962, e Raysse che "dirazzò": ma ci sono César, Arman, Spoerri, Deschamps, le coppie Christo&Jeanne-Claude e Tinguély e Niki de Saint-Phalle, e i décollagiste Dufrêne, Hains, Villeglé e Rotella, tutti con poche opere d'epoca e molte recenti (alcune davvero strepitose, anche per il loro programmatico gigantismo) e tutti ancora capaci di parlare con la stessa voce, tonante e beffarda, di allora.
1«Il Nouveau Réalisme dal 1970 a oggi», Milano, Pac, fino al 1º febbraio. Catalogo Silvana.

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