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Giovani artisti, ancora ribelli

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Giovani artisti, ancora ribelli

di Angela Vettese
Nonostante la crisi o forse anche grazie a questa, i premi dedicati ai giovani artisti continuano ad avere molta fortuna: non sono direttamente rivolti al commercio, anzitutto, e possono sganciarsi dai confini (anche economici) delle nazioni: le arti visive non riconoscono volentieri le frontiere. Osserviamo a questo proposito due casi, quello del Premio Furla per giovani italiani e quello del Turner Prize per inglesi. Il primo ha proclamato il suo vincitore il 1° dicembre, il secondo lo farà il 24 gennaio.
Il Furla, a cura di Chiara Bertola (appena nominata direttrice dell'Hangar Bicocca a Milano) è alla sua settima edizione; non prevede più una mostra ma un rapido passaggio all'Arte Fiera di Bologna; la formula non contempla più una collettiva né presso la Fondazione Querini Stampalia di Venezia né presso il MamBo di Bologna, le due istituzioni museali che lo sostengono. I giovani sono stati selezionati con un complesso meccanismo che associa curatori italiani emergenti a nomi internazionali della critica; sono Giorgio Andreotta Calò, Meris Angioletti, Giulia Piscitelli, Alberto Tadiello e Ian Tweedy. Il vincitore sarà scelto da una giuria che comprende Marina Abramovic, Alessio Anyoniolli, Zdenka Badovinac, Roberto Daolio e Hans Ulrich Obrist. Al posto della mostra, una sostanziosa borsa di studio al vincitore che lo porterà a sciacquare i suoi panni all'estero.
Il più famoso Turner Prize, nato come premio per i giovani inglesi – e a cui il Furla si ispirò alla sua nascita, circa 10 anni fa – ormai non fa più mistero di volere uscire dalla sua dimensione nazionale e premia artisti che abbiano messo un giorno un piede nel Regno Unito. La cifra del premio oggi è infeltrita dalla svalutazione e ristretta dalla crisi finanziaria, ma sono sempre 25mila sterline molto gradite. Organizzato dalla prestigiosa Tate Britain di Londra a partire dal 1984, prevede una shortlist di quattro artisti che vengono selezionati da una giuria internazionale per una o due mostre svoltesi nel corso dell'anno precedente.
Nel 2008 è stato assegnato a Mark Leckey (Birkenhead, 1964). Solamente tre volte nella sua storia il premio è stato vinto da una femmina (Tomma Abts, Gillian Wearing e Rachel Whiteread) e non stupisce, quindi, che non sia andato alla favorita Runa Islam, inglese del Bangladesh, appassionata di linguaggio cinematografico e autrice di film in cui la frammentazione narrativa si associa a temi politici e a personaggi o architetture che appartengono alla periferia della storia e dell'economia.
Nella mostra che alla Tate Britain espone i lavori dei quattro, aperta fino al 18 gennaio e vista da tutto il popolo dell'arte durante la fiera Frieze, si possono ancora osservare i dipinti e le sculture oggettuali di Cathy Wilke's (Belfast, 1966), dal tono autobiografico e in generale rivolto all'esperienza del singolo, e le installazioni di Goshka Macuga (Polonia, 1967), che lavora in collaborazione con altri artisti e suggerisce che l'opera sia soprattutto una costruzione collettiva, che stratifica i suoi significati nel corso del tempo e secondo le circostanze.
I giovani che partecipano a questi premi si trovano spesso in una posizione assai scomoda: da una parte, l'accettare di far parte della kermesse è il primo passo verso un ingresso nel sistema più commerciale, tradizionale e convenzionale dell'arte, anche quando si copra di distinguo e cerchi di porsi come il luogo dell'avanguardia o addirittura del'underground. D'altra parte, i ragazzi spesso appunto provengono da anni di pratica artistica cutting edge e impegnata. Un approccio che diventa difficile da conservare.
Per questo è stato stupefacente, ma anche prevedibile, il discorso con cui Mark Leckey ha accolto il sospirato Turner. L'artista lavora sui temi della nuova cultura visiva, rivisitando protagonisti dei cartoni dal Gatto Felix a Homer Simson. Leckey ha pubblicamente apostrofato i giornalisti per dare sistematicamente un'importanza immeritata a fenomeni quali Damien Hirst e lo street artist Banksy. Gente che vive sulle spalle dello scandalo e che forse nemmeno lo vorrebbe, ma che è vittima di un'informazione sensazionalista e disattenta agli aspetti più propriamente artistici.
Può essere interessante vedere un po' di statistiche attorno al rapporto tra il Turner Prize e le tecniche usate dagli artisti: tra i vincitori, il 32% sono stati nominati per installazioni, il 27% per opere multimedia, il 18% per la pittura e il 9% per la fotografia. Ciò che balza all'occhio è che pittura e fotografia sono ultime in questa lista, ma prime per volume e per gradimento nelle intermediazioni delle aste.
Forse è vero che vincere uno di questi premi fa entrare nel gotha di attenzioni anche commerciali, ma sembra esserci un lungo iter che conduce l'artista dalle sperimentazioni linguistiche a un'accettazione successiva delle regole del mercato. Proprio come è successo alla madrina del Furla, Marina Abramovic, nata come pura performer ma oggi passata a vendere fotografie. Insomma i premi dei giovani hanno ancora un sapore abbastanza puro. Unico neo: chi giudica sono spesso gli stessi nomi, da Daniel Birnbaum che compare nella struttura di entrambi i premi all'onnipresente Hans Ulrich Obrist, e questo porta a una forte uniformità nella tipologia delle opere scelte.

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