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La crisi fa bene all'arte ed elimina i bad artist

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La crisi fa bene all'arte ed elimina i bad artist

Il 12 novembre scorso un suo grande dipinto stimato 5,5 milioni di dollari è rimasto al palo all'asta Christie's di New York. «Pine house, rooms for rent» (1994) non ha trovato un compratore nemmeno al prezzo di riserva e da allora per Peter Doig, il pittore scozzese più sostenuto dalla critica, è iniziato un calvario d'invenduti: circa il 50% di quanto scambiato in asta negli ultimi tre mesi. Che cosa succederà al piccolo olio su tavola «Figures in a wood» (1996) che passerà da Christie's Londra, il prossimo 12 febbraio, per poco più di 110mila $?
Nel frattempo l'artista, classe 1959, è già corso ai ripari proponendo alla Galleria GmbH di Berlino una mostra dal significativo titolo «Not for sale», con più di 140 opere appartenenti a musei e collezioni private. La tendenza attuale tra gli artisti sembra proprio essere questa, esibire senza vendere come Doig o tenere i prezzi bloccati, come ha chiesto Anselm Kiefer (1945) alla gallerista Lia Rumma. Ma come stanno reagendo alla Grande Crisi gli altri attori del mercato dell'arte?
Come cambieranno le dinamiche di scambio per galleristi, case d'aste, art advisor e dealer?
Il collezionista Osvaldo Mazza ha le idee chiare: «ll mercato non crolla, le case d'asta subiscono una flessione, le opere importanti continuano ad essere scambiate, però, in trattativa privata. Il mercato si ripulisce perché qualifica le opere migliori e svaluta molto quelle meno significative, che finiscono all'asta e creano l'impressione di un mercato in calo generalizzato. Chi si spaventa rischia di svendere anche opere di valore e questo crea buone opportunità per altri».
Le case d'asta, per ovviare crescenti invenduti, stanno riducendo e selezionando i lotti offerti ed eliminando le garanzie: i primi incanti dell'anno (old master, impressionist e contemporary) hanno tenuto con un invenduto tra il 30-40%. «La crisi fa bene all'arte» concorda il gallerista Niccolò Sprovieri, che nello spazio di Londra vende, tra gli altri, Nan Goldin, Ilya Kabakov, Jannis Kounellis, Cristiano Pintaldi e Tom Sachs. «La rosa degli artisti si restringe, ma la loro qualità si alza. Per collezionare è necessario avere passione e conoscenza, non solo denari, mentre se un'opera viene acquistata soltanto come forma d'investimento il sistema, prima o poi, salta. Le aste, ad esempio, non sono il contesto migliore per approfondire la qualità di un oggetto artistico. E invece di guidare gli scambi dovrebbero tornare a fare il secondo mercato e a vendere per conto terzi. Mentre le gallerie con Internet possono creare spazi satelliti in più parti del mondo e in tempo reale».
Insomma, a guadagnarci saranno i collezionisti veri, che potranno nuovamente acquistare cose belle a prezzi non più gonfiati. Qualcuno però resterà sul campo? Chi?
«Ad esempio il dealer che si spaccia per consulente e collezionista» dichiara Sprovieri. «Già in America molte gallerie si stanno tutelando facendo firmare contratti blindati agli acquirenti, i quali – qualora volessero rivendere l'opera – s'impegnano a garantire la prelazione alla galleria, senza proporla in asta o a terzi. Tale ambiguità di ruoli è ancora molto forte in Italia dove può succedere,come mi è capitato, di ricevere l'offerta d'acquisto di un'opera che stavo vendendo. Per non parlare del prezzo che, passando di mano in mano, si gonfia a dismisura fino a raggiunge l'ultimo acquirente al doppio del valore iniziale».
«Scompariranno gli investitori entrati per scommessa, quelli che pensano che Picasso sia un calciatore del Real Madrid e scambiano le opere come fossero azioni» è convinto Pierre Cornette de Saint Cyr, figlio del patron dell'omonima casa d'asta parigina, dealer sulle piazze di Shanghai e Pechino. «Chiedereste un consiglio finanziario al vostro salumiere?» Incalza il francese. «Allo stesso modo non chiederei mai un parere su un'opera d'arte al mio banchiere. Prima di staccare l'assegno, d'ora in poi, l'acquirente dovrà pensarci due volte, domandarsi se l'opera che lo ha colpito è significativa per la storia dell'arte; ciò implica più tempo, ricerca e approfondita conoscenza. Ma sono ottimista: credo che il mercato dell'arte ha in sé gli strumenti di correzione. I prezzi resteranno alti per gli artisti di genio, ma non tutti i cinesi hanno il talento di Zeng Fanzhi».

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