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Dai cinesi ai cubani, Farber punta al valore

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Dai cinesi ai cubani, Farber punta al valore

«Undici anni fa andavo pazzo per i pittori scoperti in Cina e quando alcuni amici mi proposero un viaggio a Cuba, organizzato dal Metropolitan, per vedere quel che era vivo e quello che era morto della tradizione architettonica isolana, accettai solo a patto di non avere nulla a che fare con l'arte contemporanea cubana; nel mio cervello c'era posto solo per i cinesi» racconta Howard Farber, finanziere e immobiliarista di New York. Oggi il suo nome è associato alla collezione «Cuba Avant-Garde» che, con la collaborazione di Kerry Oliver Smith dello Harn Museum dell'Università della Florida e della Curatorial Assistance Traveling Exhibitions di Pasadena, viene esposta da un museo all'altro con prenotazioni fino al 2012: un centinaio di dipinti, sculture, foto, video e installazioni di 44 artisti cubani del calibro di José Bediá, Tomás Sanchez e Rubén Torres Llorca. Farber era rimasto indifferente alla nuova arte quando si era recato la prima volta all'Avana nel 1997, per aiutare la moglie a sostenere la famosa compagnia di danza di Alicia Alonso e benché dichiari di non interessarsi di politica, trovò nell'arte cubana lo stesso colore della rivoluzione cinese di piazza Tiananmen. Ma la magia cubana a un certo punto ebbe la meglio su quella cinese, dalle quotazioni sempre più interessanti, così nell'ottobre del 2007 Phillips de Pury esitò a Londra 40 opere della collezione Farber «China Avant-Garde», totalizzando oltre 10 milioni di sterline (contro le 5 previste), in buona parte sborsate da Charles Saatchi. A giugno dello stesso anno Phillips de Pury aveva già battuto opere per 5,5 milioni di dollari, 2,8 volte il valore dell'intera collezione Faber iniziata nel 1995 con «Great Criticism: Coca-Cola» di Wang Guangyi, pagato 25mila $ e battuto per 1,59 milioni. Con il ricavato, secondo il «Wall Street Journal», Farber continua ad acquistare almeno due o tre opere cubane al mese, a prezzi tra 7.500 e 140mila $ l'una. Ma ormai «Cuba-Avant Garde» non ha più il monopolio dell'arte cubana contemporanea, perché l'anno scorso il Museum of Fine Arts di Montreal ha messo insieme una rassegna di oltre 400 opere intitolata «Cuba! Arte e storia dal 1868 a oggi», metà venivano dal Museo Nacional de Bellas Artes di Avana, e l'altra metà dalle collezioni del MoMa di New York e dall'Arizona State University Art Museum di Tempe. Altre raccolte ormai ben note sono quelle delle ereditiere Rosa de la Cruz e Beth Rudy DeWoody, dell'immobiliarista Craig Robins e dell'imprenditore Peter Norton. In questi giorni a Birmingham (Alabama) Stephen Humphreys espone fino al 9 marzo parte della sua collezione. Molto più di altri Paesi latino americani, l'arte cubana esprime sinfonie pluralistiche dalle influenze spagnole, africane e caraibiche, col risultato di produrre artisti molto diversi tra loro. Più di un critico parla di una diaspora cubana, perché ormai in tanti vivono e lavorano in Canada, Australia, Parigi, Miami o Roma. Da quando è nata la Biennale cubana moltissimi entrano ed escono dalla terra natia in continuità. È un'arte facile e popolare, come dimostra il record di 2,6 milioni $ battuti da Sotheby's per «Danza Afro-Cubana» di Mario Careno, mentre vanno a ruba i paesaggi di Tomas Sanchez ispirati a Caspar Friedrich e quotati da Marlborough Gallery 70mila $. Fra gli artisti non ancora quarantenni emergono i Los Carpinteros, Carlos Garaicoa, Yoan Capote, Carlos Estevez e Alexis Leya Machado, noto ormai come Kcho.

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