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Il gatto Alberto

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In Primo Piano

Il gatto Alberto

di Laura Torretta
«Scolpisco per gli occhi, unicamente per gli occhi; se riuscissi a copiarne uno, avrei realizzato la testa intera»: così, negli anni sessanta, dichiarava Alberto Giacometti in un'intervista-confessione per il mensile francese «Arts». L'incontro con la scultura avviene nel 1914, quando, appena tredicenne, tenta di plasmare nella plastilina le fattezze del fratello Diego. Continuerà a scolpire per tutta la vita.
Frequenta la scuola di Belle Arti di Ginevra, ma non ne sopporta l'atmosfera e nel 1919 opta per la più popolare scuola di Arti e Mestieri.
A Parigi, dove sbarca tre anni più tardi per trascorrervi il periodo determinante della sua formazione d'artista, fortemente influenzata dal cubismo e dall'arte africana, si fa conoscere esponendo al Salon des Tuileries. E dopo un incidente stradale, che lo costringe a una lunga degenza ospedaliera, il suo modo di pensare cambia radicalmente.
È un momento di intensa creatività, che coincide con il matrimonio con Annette Arm, e prelude alla fase più feconda, quella post-1950, quando le sculture diventano filiformi e quasi inconsistenti, come la serie Femme de Venise per la Biennale del 1956 o l'Homme qui marche I, punto d'arrivo della sua ricerca formale ed estetica.
Da quasi mezzo secolo conservato nella medesima raccolta privata, appartiene a questo ciclo anche Le Chat, iconico bronzo del 1951 che Sotheby's porrà all'asta a New York il 5 maggio con una stima di 16-22 milioni di dollari.
Venne realizzato in sei esemplari, quasi tutti conservati in importanti Musei. Quello ora in vendita, non appena ultimato fu esposto alla Galerie Maeght di Parigi ottenendo enorme successo di pubblico. Nello stesso anno il maestro aveva realizzato la scultura di un cane, in proposito confidando allo scrittore Jean Genet, suo grande amico: «Sono io il cane; un giorno mi sono visto così per la strada». Nello stesso modo, l'immagine felina del gatto può essere interpretata come un simbolo e, nel più ampio contesto del primo dopoguerra, come una riflessione dell'artista sulla solitudine e sulla vulnerabilità della condizione umana.
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