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I fondi neri di Kandinsky

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In Primo Piano

I fondi neri di Kandinsky

di Marco Filoni
«C'è così poca gente che possiede uno spirito vicino a ciò che faccio, che mi è molto gradito poterti contare fra questi». Così Wassily Kandinsky al nipote, il filosofo Alexandre Kojève. Che fra loro, familiarmente, si chiamavano zio Vassia e Lula. I due, dopo aver entrambi lasciato la Russia, iniziarono una densa corrispondenza alla fine degli anni Venti, quando il pittore insegnava al Bauhaus, in Germania, mentre il nipote si era stabilito a Parigi dove, da lì a poco, sarebbe diventato uno dei protagonisti della filosofia francese.
Oggi questa corrispondenza è depositata presso la Biblioteca Kandinsky del Centre Pompidou di Parigi, presso il quale è in corso fino al 10 agosto una delle più grandi retrospettive mai dedicate al pittore, una mostra che raccoglie le tre maggiori collezioni di Kandinsky provenienti dallo stesso Centre Pompidou, dalla Städtische Galerie di Monaco e dal Guggenheim di New York.
Con la corrispondenza fra Kandinsky e Kojève, iniziano anche le commissioni che il nipote svolge per conto dello zio: quest'ultimo dalla Germania recapita alcune sue opere a Kojève affinché possa fargli da corriere per le mostre e le gallerie parigine. Inoltre, come si accenna nella lettera che pubblichiamo, Kojève è anche complice di un corriere illecito per depositare i risparmi dello zio in un conto aperto in Svizzera, all'epoca vietato dalle autorità tedesche. Kandinsky dal canto suo ricambia i favori del nipote rimborsandogli le spese e finanziandogli, in diverse occasioni, le vacanze estive.
Questi servizi continueranno anche dopo che il pittore e sua moglie Nina si stabiliscono, nel gennaio 1934, a Neuilly-sur-Seine nella periferia di Parigi. Kojève infatti andava spesso in Germania in visita ad alcuni amici, e da lì acquistava i colori che il pittore non riusciva a trovare in Francia.
Ma non solo. Il rapporto fra i due si gioca anche su un piano intellettuale. Kandinsky apprezzava la sensibilità artistica e i giudizi di Kojève: giudizi che a volte non lesinavano critiche e osservazioni anche dure. Anzi: forse quello del nipote doveva esser l'unico apprezzamento sincero che Kandinsky si troverà a leggere sulla propria opera. E che prendeva estremamente sul serio: alle lettere che contenevano osservazioni e critiche, il pittore risponde: «Nella maggior parte dei casi, il tuo giudizio è esatto».
Anche nella lettera qui di fianco, Kandinsky entra nel merito di una critica del nipote. Si riferisce a una serie di sette acquarelli che aveva spedito a Kojève perché questi potesse portarli a una galleria parigina, specificando di aprire prima il pacco in modo da guardarli e giudicarli. Tale è la stima per Kojève, che da lì a qualche anno Kandinsky gli domanderà di redigere un testo analitico sulla sua opera, probabilmente con l'intento di farlo pubblicare nei Cahiers d'Art diretti da Christian Zervos oppure nella rivista «XXe Siècle», fondata due anni dopo da Gualtieri di San Lazzaro con l'incoraggiamento dello stesso Kandinsky. Lo zio confidava nel nipote, che aveva dimostrato una comprensione e una capacità d'analisi superiori alla maggior parte dei critici di mestiere. E il risultato è l'illuminante saggio I dipinti concreti di Kandinsky, scritto nel 1936 e rimasto a lungo inedito – Kojève ne pubblicherà una forma abbreviata solamente trent'anni dopo – del quale il manoscritto originale recava in calce l'annotazione: «Le pagine che seguono riassumono un articolo, restato manoscritto, che ho redatto nel 1936 su richiesta di Kandinsky, in seguito a molte conversazioni che ho avuto con lui sulla sua arte. Mio zio ha letto il manoscritto e lo ha annotato di suo pugno. Ne abbiamo discusso a più riprese e Kandinsky si è dichiarato d'accordo con l'essenziale del suo contenuto».
Kandinsky non vedrà mai pubblicate le pagine del nipote. Eppure le aveva apprezzate più di quanto si possa credere. Proprio da queste pagine nasce il progetto secondo il quale, a partire dalle argomentazioni teoriche di Kojève, il pittore presenterà da quel momento in poi la sua arte come un "assolutamente concreto", in rottura con le opere degli anni Dieci, investite di una potenza visionaria e generatrice di una nuova arte. Nel testo Kojève non si soffermava minimamente su considerazioni storiche o sociologiche. Il filosofo portava uno sguardo puramente concettuale sul problema della pittura non figurativa: gli premeva soprattutto lo svolgimento di un ragionamento senza difetto logico e portato alle sue estreme conseguenze. Ovvero, ed è la tesi di fondo, dimostrare che Kandinsky praticava una pittura concreta, fondamentalmente distinta da tutte le altre forme di pittura. Kandinsky si sentiva talmente sostenuto dalla ponderatezza del ragionamento di Kojève, che proprio due anni dopo il saggio del nipote dedicherà ben quattro testi all'arte concreta. I titoli sono eloquenti: Arte concreta; Il valore di un'opera concreta, Astratto o concreto? e L'arte astratta e concreta. Insomma, come scriverà egli stesso in uno di questi testi in merito alla sua opera "a torto" considerata astratta: «Preferisco, personalmente, chiamare la cosiddetta arte "astratta", arte concreta». Un'arte che, come scrive Kandinsky al nipote usando la metafora dei dolcetti cinesi, potrà anche sembrare gelida esternamente. Ma all'interno arde dello slancio vitale proprio della creazione artistica.
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L'ineditoDessau, 11 ottobre 1931
Caro Lula,
ti ringrazio molto degli acquarelli e delle lettere che hai inviato per me a Berna. Ti ho già scritto che in Germania, a causa delle attuali condizioni, non posso comunicare direttamente con la mia banca svizzera. Sono dunque obbligato a disturbarti.
Ti chiedo ancora un favore. Speravo d'avere un libro pubblicato a Parigi attraverso una libreria locale, ma niente: i francesi non spediscono all'estero. Pensavo allora di comprarlo direttamente a Parigi, ma come sai non siamo più venuti. Quest'edizione mi è indispensabile per l'insegnamento. Forse tu hai occasione di passare vicino alla rue Vavin. Se sì, ti prego, vai da Ortet-Roussel, 1, rue Vavin, e domanda loro di mandarmi subito L'Art d'aujourd'hui con spese a carico del destinatario. Se non è possibile, forse potresti pagarlo tu stesso e farmi sapere quanto ti è costato. Ti rimborserò immediatamente. Te ne sarei molto riconoscente. È già più di un anno che cerco d'ottenere questo libro.
La tua "critica" ai miei acquarelli mi ha colpito molto: tu hai una percezione molto fine, e ciò non accade spesso alle persone dotate di una "grossa testa", ed è per questo che l'apprezzo in maniera particolare. Ti distingui dalla gente "senza testa" e soprattutto senza sensibilità per il seguente motivo: queste persone non vedono nelle mie opere "austere" alcuna vita e anche nessun "senso artistico", mentre tu riservi loro il giusto posto in quello che tu chiami il mio "passato". Tu dici che le mie opere «erano vive ma hanno iniziato a irrigidirsi». Non so, forse è così. Ma fino a ora, quando dipingo in maniera così seria, tutto in me tende al massimo. Ho bisogno di un grande slancio interiore: il carattere, la dimensione e la collocazione di ciascuna di queste forme austere si definiscono ogni volta a seconda di un "dettato interiore", una sorta di "veggenza". E io ho l'impressione che tale slancio non soltanto sia necessario, ma anche impossibile nel caso in cui le forme fossero irrigidite.
In molti dicono che le mie opere austere sono fredde. Esistono dolcetti cinesi che sono internamente caldi (usciti direttamente dal forno) mentre all'esterno sono gelidi. Le mie opere austere sono come questi dolci cinesi, ma all'inverso: freddi esternamente e ardenti all'interno.
Ecco la mia autodifesa. Scrivimi e dimmi sempre con tutta franchezza cosa pensi del mio lavoro.
Forse a Natale ci vedremo a Parigi. Ma forse anche prima in Germania? A Dessau? Sarebbe bello.
Ti abbraccio, e Nina ti saluta cordialmente.
Tuo Kandinsky

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