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Celebri facce da galera

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In Primo Piano

Celebri facce da galera

di Laura Leonelli
Sapeva convincere, una parola gentile, una pistola puntata contro. Ma quel giorno, il 17 maggio del 1929, Al Capone intuì che bisognava cambiare tattica. La polizia di Miami lo aveva arrestato e sbattuto contro il muro per la classica fotografia segnaletica. E qui l'idea geniale. Scarface, il nemico numero uno, il mandante della strage di San Valentino, sorrise. Il fotografo, visto che nessuna legge impedisce a un criminale di sembrare un brav'uomo, scattò e quello storico mug shot, quel colpo in faccia che non deforma i lineamenti ma li consegna alle cure di bellezza della giustizia, in un attimo segnò il trionfo di un bandito e la debolezza di un'arma che da cinquant'anni serviva i tribunali di mezzo mondo.
Che cosa fosse il mug shot, dove mug vuol dire faccia nel peggiore inglese settecentesco, i fuorilegge lo avevano appreso da tempo e giustamente lo temevano quanto la forca, visto che a quella prima fotografia incorniciata dalla scritta wanted, seguiva il ritratto appeso al cappio. Che cosa sia diventato il mug shot, invece, con quel suono che si porta dietro la polvere e la violenza del Far West, lo scopriamo leggendo lo splendido volume «Mug Shots. An archive of famous, infamous, and most wanted», curato con la precisione di un secondino e la libertà di un rivoluzionario da Raynal Pellicer (pagg. 286, $35,00, Abrams, New York). Ad ogni fotografia segnaletica, ad ogni "giudiziaria", ad ogni bertillonage come venne ribattezzato in Francia quel ritrattino formato tessera corredato di scheda informativa, corrisponde non solo la storia dell'infame famoso che ha posato suo malgrado, ma la storia più ampia dell'idea stessa di giustizia, di coloro che l'hanno colpita a morte e di quanti invece sono caduti per renderla migliore. Impassibile e anonima, la fotografia giudiziaria – «fantastico strumento di omologazione dell'uomo», come l'ha definita Ando Gilardi nel suo profetico saggio «Wanted» (ed. Bruno Mondadori) – ha reso tutti mostruosamente uguali, colpevoli e innocenti, anarchici e mafiosi, serial killer e rockstar, nazisti e pacifisti.
Ad accorgersi di questa spaventosa duttilità furono anzitutto gli agenti della Pinkerton national detective agency, i Pinks, che dalla metà dell'Ottocento in poi, un colpo di fucile seguito da un mug shot, percorsero le praterie del West e le fabbriche della Pennsylvania a caccia di banditi, disertori e scioperanti. Nel 1871, ampliando il concetto di fuorilegge, la polizia francese fotografò i protagonisti della Comune di Parigi e allegò il ritratto di ogni condannato al suo dossier giudiziario. Fu un'epidemia di efficienza tanto che in Inghilterra la pratica divenne obbligatoria e nel giro di pochi anni vennero arrestati 375 evasi grazie al riconoscimento fotografico. A segnare la svolta tocca però di nuovo alla Francia e a Monsieur Alphonse Bertillon, figlio di un professore di statistica e demografia, impiegato modello della polizia di Parigi e autore, visto il caos in cui versavano gli archivi della prefettura, del primo metodo scientifico per la classificazione segnaletica di ogni sospetto e detenuto: l'antropometria. Al classico mug shot frontale Bertillon affiancò quello di profilo, quasi un cammeo di criminalità, a cui vennero aggiunte una serie di misurazioni del viso e del corpo, e in seguito le impronte digitali. La «Fiche antropométrique de Bertillon» venne presentata alla Expo del 1889 e con clamore generale fu adottata da tutte le potenze europee, colonie comprese, dalla Russia e dagli Stati Uniti. Contemporaneamente nascono i problemi. Il più grave, intimo alla natura della fotografia, è la quantità. Nella Rogue's Gallery, la galleria dei furfanti della polizia di New York, le immagini dei ricercati, a pochi mesi dall'ingresso ufficiale del metodo antropometrico, sono già 24.000. E nel mosaico di quei volti, che il tempo e la diffusione mondiale della "segnaletica" moltiplicano all'infinito, c'è veramente posto per tutti. C'è posto per Germaine Berton, anarchica francese che nel 1923 uccide il monarchico Marius Plateau e assolta viene salutata da Andrè Breton come un'eroina, tanto che la sua "segnaletica", circondata dai ritratti di Picasso, De Chirico, Eluard e Man Ray, campeggia nel primo numero della «Révolution Surréaliste». Ma nel volume di Pellicer c'è posto anche per il volto e il profilo di un giovane Benito Mussolini, arrestato nel 1903 a Berna per vagabondaggio, quindi inserito tra le file degli anarchici. E fa un certo effetto, qualche pagina dopo, vedere la "giudiziaria" di Luigi Galleani, leader del movimento anarchico italo-americano, estradato in Italia nel 1919 e condannato a nove mesi di prigione, sette anni dopo, per insulti al Duce. Nel 1956, nella galleria dei malfattori, ritratto con lo stesso metodo con cui vengono schedati Hermann Goering, per crimini contro l'umanità, e Frank Sinatra, per molestie sessuali, fa il suo ingresso a 26 anni Martin Luther King, responsabile della campagna di boicottaggio contro l'azienda di trasporto nella Montgomery County. Sfoglio velocissimo e compare il volto del suo presunto assassino, James Earl Ray. A proclamarne l'innocenza fu addirittura il figlio della vittima, Dexter King. Inutilmente. Ray è morto in galera nel 1998.
Una volta fotografati, del resto, si rimane colpevoli in eterno. Colpevole per scherzo Elvis Presley, in visita negli uffici dell'FBI, nel 1970. Colpevole, ma di altri misfatti, Jane Fonda, nel mirino per la sua propaganda anti Vietnam e arrestata all'aeroporto di Cleveland perché in possesso di strane pillole, vitamine per la verità, e perché diede un calcio al poliziotto che cercava di trattenerla. E ancora colpevoli per possesso di droga, questa volta c'era, Jimi Hendrix e David Bowie. Pochi dollari di cauzione e di nuovo fuori. Chi invece non rivide mai più la luce della libertà fu Robert Stroud, due omicidi sulla fedina, una foto che sembra un ritratto di Richard Avedon e un ergastolo trascorso ad allevare canarini e a studiarli fino a conquistare fama internazionale e un posto a Hollywood, grazie alla memorabile interpretazione di Burt Lancaster nel film l'Uomo di Alcatraz. Nelle varie segnaletiche che gli vennero scattate nei suoi cinquant'anni di detenzione Stroub non sorrise mai. E non sorrise neppure Al Capone nel ritratto che gli venne fatto nel giugno 1931, pochi minuti dopo l'arresto per evasione fiscale. Nello stesso anno e nello stesso mese in Italia il regio decreto n. 773, nell'ambito delle leggi di pubblica sicurezza, rendeva obbligatoria la carta d'identità munita di fotografia. Un primo discretissimo mug shot, in attesa di aggiungere la foto di profilo.
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Una ricca galleria fotografica di «schedati» celebri

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