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Espressionisti astratti in missione con la Cia

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Espressionisti astratti in missione con la Cia

  • –di Anna Silvia Barrilà e Marilena Pirrelli



Action Painting, gli archivi e la critica


Arte e politica, un binomio più stretto di arte e finanza? Germano Celant, nel suo recente «Tornado America», un libro sull'arte al potere dal 1948 al 2008, ne è convinto e per dimostrarlo prende le mosse proprio dalla nascita del movimento dell'Espressionismo astratto americano, capitanato da Jackosn Pollok e promosso all'estero dall'Agenzia governativa l'USIA (United States Information Agency) attraverso mostre ed eventi. La realtà dei fatti sarebbe più sfumata, da un lato Clement Greenberg, uno dei critici d'arte sostenitori del Movimento, in un saggio apparso nel 1939 sulle pagine del «Partisan Review» era convinto che era corretto accettare la sponsorizzazione di un protettore illuminato - i privati capitalisti e la Cia -, riteneva che gli artisti progressisti avessero bisogno di un'elité che li finanziasse; dall'altro la ricostruzione fatta da Frances Stonor Saunders, autrice del libro "Who Paid the Piper? The CIA and the Cultural Cold War" (1999), sull'influenza della Cia nell'affermazione dell'Espressionismo Astratto non mira a sminuire la portata del movimento e la grandezza dei suoi rappresentanti, sottolinea tuttavia come il contesto in cui si è affermato fosse altamente politico, a differenza del dichiarato disimpegno.
Tuttavia giunge alla conclusione che il Dipartimento di Stato supportò sì l'Espressionismo Astratto, ma solo dopo, negli anni '50, quando si era già affermato sia negli Stati Uniti, che in Europa. Prima non avrebbe avuto coraggio di farlo.
Come andarono esattamente le cose? Negli anni '40 il mercato degli espressionisti astratti che lavoravano al Greenwich Village ebbe un lento sviluppo locale nelle gallerie di Samuel Kootz , Howard Putzel, Betty Parsons e Charles Egan, ma la maggioranza delle gallerie ancora non disponeva di mezzi per pubblicare cataloghi e fare pubblicità all'estero. Putzel allestì nel 1945 la prima mostra «A problem for crtitics», Betty Parsons lamentava la lentezza degli affari; Samuel Kootz dovette chiudere la galleria per un anno nel '48 a causa delle difficoltà economiche. Si vendeva poco e a prezzi bassi: tra il '47 e il '51 un Pollock costava non più di 900 dollari. Unica eccezione fu «Number 5» nel '48, passato di mano per 1.500 dollari e «Number 1» per 2.350 dollari. Nello stesso periodo il record stabilito da un Rothko ammontava a 1.250 dollari, mentre i dipinti della Scuola di Parigi arrivavano a 15mila dollari.
L'arte francese dei Surrealisti e Cubisti era, infatti, più cara e ambita, preferita dallo stesso MoMa e dal suo direttore fondatore Alfred Barr (1929), che collezionava soprattutto Europei e lasciava al Whitney l'acquisto degli Espressionisti astratti. Nel 1948 Pollock entra nel portafoglio di Sidney Janis, gallerista di fama del Modernismo europeo e, dopo la partecipazione di de Kooning, Gorky, Marin e Pollock alla Biennale di Venezia (1948 e 1950) nel Padiglione americano, la loro reputazione sale. La coppia Janis e Kootz, oltre a Parsons e Guggenheim, sono i loro più forti sostenitori.
Sull'affermazione culturale del Movimento è stata fatta luce negli anni ‘70, quando storici revisionisti sostennero il coinvolgimento della Cia nella sua diffusione in Europa. Nel 1996 il «New York Time» pubblica la documentazione sull'attività segrete dell'intelligence americana in ambito culturale, soprattutto sull'attività coperte delle Fondazioni private, dalla Fondazione Farfield, alla Ford , alla Rockefeller e Carnegie. «Una fonte fondamentale sono anche gli archivi del Smithsonian Institution» spiega Francesco Tedeschi, autore della «Scuola di New York» (2004).
Il programma di propaganda culturale rivolto all'Europa occidentale per contrastare l'offensiva comunista e conquistare alle posizioni americane gli intellettuali europei si concretizzò con l'istituzione del Congress for the Cultural Freeedom, organizzato dall'agente della Cia Michael Josselson, che operava tra il 1950-1967 in 25 Paesi. La sua attività era iniziata parallelamente all'annuncio del Piano Marshall (1947) e alla nascita del National Security Act che diede vita alla Cia per «operazioni psicologiche coperte» con la direttiva NSC-4a e la successiva NSC-10/2 del 1948 attraverso il Policy Planning Coordination (Opc), che contava su abbondanti fondi (4,7 milioni del 1949 e 82 milioni nel 1952). Gli artisti sapevano di essere strumento di un programma di politica culturale? «Poco e niente – spiega Tedeschi –, certo è che tra il '37 e il '40 il loro sguardo si spostò dal filocomunismo e dai murales messicani, all'ideologia della libertà e dell'individualismo».

Frances Stonor Saunders, nel libro tradotto in italiano la "La Guerra fredda culturale" (Fazi Editore, 2004), descrive dettagliatamente l'azione dell'intelligence americana: non ci sono documenti ufficiali che ne dimostrano il collegamento, ma la presenza di personaggi chiave, collegati alla Cia, in posti decisivi per l'arte americana. L'Espressionismo astratto, seppur avversato da vari membri del Congresso, era simbolo per il Dipartimento di Stato dello spirito democratico americano. Astratto e apolitico, il Movimento rappresentava l'antitesi allo stile realista imposto agli artisti del blocco comunista e un'alternativa al dominio dell'Europa, in particolare di Parigi, nel mercato dell'arte. Per affermare tale corrente il Dipartimento di Stato americano si appoggiò alla Cia, che a sua volta utilizzò vari canali, primo fra tutti tra il 1940-50 il MoMa, attraverso il presidente Nelson Rockefeller, collezionista degli Espressionisti astratti, il quale durante la guerra era stato a capo della Ciaa, l'agenzia di spionaggio per l'America Latina.
Parecchie figure facevano da tramite tra l'agenzia e l'istituzione museale, accanto a lui il direttori del museo, Alfred Barr prima, autorità nella definizione del gusto dell'epoca, e René d'Harnoncourt (aveva lavorato nella sezione artistica della Ciaa) che regolarmente rendeva conto al Dipartimento di Stato. Molti collaboratori e componenti del consiglio amministrativo (John Hay Whitney e William Burden) provenivano da strutture di governo ed erano strettamente connessi alla Cia, tra questi Tom Braden.
Oltre a massicce acquisizioni, nonostante l'opposizione di alcuni membri del consiglio, per la propria collezione, il museo esportò numerose mostre di propaganda. A questo scopo fu fondato nel 1952 l'International Program, finanziato con 125mila dollari l'anno dal Rockefeller Brothers Fund e diretto da Porter McCray, anch'egli proveniente dalla Ciaa e reduce da un anno a Parigi nella sezione culturale del Piano Marshall. In quattro anni il programma organizzò 33 mostre all'estero, tra cui la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1950 e la mostra «Twelve Americans» nel 1953-54. In tale occasione la Cia operò attraverso l'Association Française d'Action Artistique nel finanziamento del catalogo e della pubblicità. Il presidente di quest'istituzione, Philippe Erlangen, era un contatto designato dalla Cia al Ministero degli Esteri Francese.
In occasione della mostra "Young Painters" il sostegno si esplicò attraverso il pagamento dei costi di trasporto da parte della Farfield Foundation, finanziata dalla Cia, attraverso premi di 2mila dollari per i migliori artisti in mostra, messi a disposizione dal Congress for Cultural Freedom e attraverso l'influenza sulla stampa. Nel 1960 fu organizzata al Louvre «Antagonismes» con opere esposte l'anno precedente a Vienna in una mostra organizzata per minare il festival dei giovani comunisti e costata 15.365 dollari. Per l'esposizione a Parigi altri 10mila dollari furono donati attraverso la Hoblitzelle Foundation e 10mila dalla Association Française d'Action Artistique. Basta per comprendere perché, dopo l'apertura degli Archivi di Stato americani, alcuni passaggi della storia culturale del dopoguerra sia stata ricostruita.


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