di Marco Carminati
È il 1938. Adolf Hitler si è annesso l'Austria e ha invaso la Cecoslovacchia, e certo non immagina che queste sue azioni militari abbiano messo in fibrillazione a Parigi gli alti funzionari del Louvre. Costoro non si fanno più illusioni, capiscono che è giunto il momento di predisporre un piano di evacuazione del museo nell'eventualità si scateni un conflitto mondiale. Il piano viene immediatamente steso sulla carta. Si stabiliscono quali capolavori mettere in salvo e in quali castelli e abbazie del contado francese debbano trovare rifugio. Importante è che siano luoghi lontani dalle città e dalle linee ferroviarie. Subito dopo si allertano alcune ditte di trasporti e alcuni grandi magazzini perché mettano a disposizione i camion per i trasferimenti. A capo della macchina organizzativa ci sono le persone giuste: sono Jacques Jaujard, neodirettore di Musei Nazionali, e Rose Valland, sua coraggiosa collaboratrice, che nel dopoguerra affiderà a un libro di memorie l'epopea del Louvre durante il conflitto.
In questa epopea è possibile immergersi anche oggi, e l'occasione per farlo ci viene da una mostra allestita fino al 31 agosto nei sotterranei della Cour Carré (Salle de la Maquette). Si tratta di una rassegna piccola e commuovente, che illustra come il museo parigino visse e affrontò l'emergenza della guerra tra il '38 e il '47 attraverso 56 toccanti fotografie d'epoca, provenienti soprattutto dagli archivi del Louvre e, in alcuni casi, completamente inedite. Seguendo questo struggente album della memoria, vediamo di capire come andarono le cose. Una volta predisposto il piano di evacuazione nel '38, i funzionari alzarono le antenne per annusare il pericolo. Furono bravissimi perché intuirono lo scoppio della guerra con una settimana d'anticipo. Il 28 agosto 1939 il Louvre venne chiuso al pubblico. Jaujard e i suoi collaboratori staccarono la Gioconda e la impacchettarono in una cassa singola, sulla quale posero la sigla in codice «LPO», di cui solo loro conoscevano il significato. Questa cassa anonima (immortalata nella foto 26 della mostra) venne messa su un camion e spedita a Chambord. Assieme alla Monna Lisa partirono altri 50 dipinti.
Il 3 settembre la Francia e la Germania entrarono in conflitto. Il direttore raddoppiò i turni di lavoro. Bisognava velocemente porre in salvo capolavori ben più ingombranti come la Nike di Samotracia. Attorno a essa venne montato un paranco simile a una ghigliottina. Attraverso il paranco, la pesantissima statua imbragata in funi e coperte venne sollevata quel poco che bastava per essere posta su un carrello. Poi, gli operai le fabbricarono attorno una cassa di legno e il carrello venne fatto approdare al piano terra lungo lo scivolo costruito appositamente sullo scalone. Queste macchinose fasi di rimozione sono ben documentate dalle fotografie in mostra, ma ancor più impressionante è vedere quanto grande fosse la cassa una volta caricata sul camion: uno scatto ci mostra come l'automezzo passò sotto l'arco dell'Ala Denon occupando più della metà del vano!
Senza tanti complimenti venne rimossa anche la Venere di Milo. Il marmo venne imbragato e spostato su una piattaforma a forza di braccia (nella foto si nota un operaio che "toccaccia" volentieri il perfetto seno della dea). La cassa – costruita attorno come un cappotto – è caricata su un camion e spedita nel Sud della Francia.
Non c'è il tempo materiale per arrotolare i quadri più grandi. Per fortuna si trova un camion speciale con il quale la Comédie-Française di solito fa trasportare le scenografie teatrali. Il pianale del camion è così grande che si possono portar via senza piegarle tele immense come le Nozze di Cana di Veronese e l'Incoronazione di Napoleone di David. Una foto ci mostra il camion con il suo gigantesco traino pronto a partire fuori dal Louvre.
Alla fine del frenetico sgombero, centinaia di casse con 4mila opere d'arte sono state allontanate da Parigi e messe al sicuro in castelli e abbazie. Agli occhi dei fotografi, il Louvre appare adesso desolatamente vuoto: ovunque ci sono piedistalli orfani delle statue e cornici vuote, abbandonate lungo le pareti. Quando i tedeschi vittoriosi entrano in città nel giugno del '40 trovano il museo in questo stato: significativo il fatto che Hitler si rifiuti di visitarlo così. Ma gli occupanti germanici sono desiderosi che la vita torni alla normalità. Così ne ordinano la riapertura. Le sale sono ovviamente ridotte, come ridotti sono gli orari di visita. Viene stampata una guida in tedesco, i cartellini sono tedesco, i biglietti in tedesco. Per i tedeschi l'ingresso è gratuito, per i francesi costa un franco; risultato: al Louvre ci vanno solo tedeschi, soprattutto soldati in libera uscita che seguono docili le spiegazioni delle guide, come bene documentano le foto in mostra.
In alcuni locali del Louvre, l'ingresso è interdetto al pubblico e al personale del museo. Qui, i nazisti vanno accumulando casse e quadri misteriosi. Da dove vengono tutte quelle opere d'arte? La risposta è agghiacciante: sono le opere d'arte strappate agli ebrei. La cassa 853 racchiude la collezione Rothschild, la cassa 24 la collezione Kramer, e così via. Le foto che testimoniano questo cupo capitolo della storia del Louvre sono le più impressionanti della rassegna, e non si sono mai viste. Il direttore Jaujaurd fu costretto ad aiutare gli occupanti a schedare questo materiale. Ma lo fece con una tale meticolosa precisione (soprattutto nel riportare esattamente la provenienza di ogni singolo quadro) che alla fine del conflitto, grazie ai suoi inventari, fu possibile resistituire le opere ai legittimi proprietari o ai loro eredi.
Le ultime foto della rassegna sono un inno alla gioia. La guerra è finita, il Louvre torna a popolarsi di quadri, di statue e di pubblico: stavolta a seguire docilmente le guide ci sono i soldati americani.
Le immagini inediteEcco i quadri degli ebrei Il nucleo più toccante della rassegna è rappresentato da 5 fotografie inedite ritrovate nell'Archivio di Stato di Coblenza che mostrano alcune sale del Louvre (interdette al pubblico) nelle quali i nazisti accumularono i quadri e le casse con le opere d'arte sottratte agli ebrei francesi. La direzione del Louvre venne costretta a schedare quei quadri, e lo fece in modo così preciso e dettagliato che dopo la Liberazione fu possibile restituirli alle famiglie d'origine.
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