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Intervista al collezionista Giuseppe Panza di Biumo. «La notifica…

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Intervista al collezionista Giuseppe Panza di Biumo. «La notifica danneggia l'Italia»

  • –di Marilena Pirrelli

«Una collezione è una storia, un progetto culturale e poi è sempre stato forte il desiderio di rendere le opere accessibili a tutti, è la funzione dell'arte, finché rimane in una casa serve poco. Gli eredi non sempre sono d'accordo a donarla, noi abbiamo cercato di prevenire il rischio della dispersione per 1.100 opere d'arte cedendole e regalandole a sette musei. Io e mia moglie Rosa Giovanna ora non possiamo più regalare secondo le leggi dello Stato italiano (non oltre un quarto del proprio capitale, ndr), doniamo ai figli e loro regalano ai musei». L'arte raccolta dal conte Giuseppe Panza di Biumo ha una storia lunga oltre 50 anni, iniziata nel 1954 a New York e proseguita in una costante frequentazione di galleristi e artisti americani. «Ogni anno trascorrevamo almeno un mese a New York» ricorda. Il suo primo acquisto un quadro astratto di Anastasio Soldati da Guido Le Noci a Milano per 100mila lire alla fine del 1955. L'espansione economica dei decenni successivi consentì al conte Giuseppe Panza di Biumo di costruire una collezione di Minimal Art tra le più importanti al mondo, oggi in piccola parte esposta a Villa Menafoglio Litta Panza a Biumo, donata nel ‘96 al Fai, e, in parte, al MoCa di Los Angeles, al Guggenheim di New York e al Museo Cantonale di Lugano. Il motto della sua vita: «comprare, conservare, tramandare».

Oggi quali sono le difficoltà per un collezionista?
«In Italia c'è una cosa importante da fare: abolire la notifica per tutte le opere d'arte successive al 1820, data della morte di Canova, perché è dannosissima. L'ho verificato quando ho venduto l'archivio della collezione al Ghetty di Los Angeles, interessato ai documenti relativi all'arte americana. Quando si è trattato di chiedere le autorizzazioni doganali è intervenuta la Sovrintendenza dei Beni librari e ha bloccato l'esportazione, poi il Comitato di settore di Roma ha notificato l'archivio dichiarandolo non esportabile. I musei americani hanno fatto cause allo stato italiano e non appena è cambiata la composizione del Comitato di settore il nuovo consiglio ha tolto il divieto nel '94». Il Ghetty ha pagato un milione di dollari per l'archivio, parte importante della storia dell'arte americana. «In seguito non sono più stato danneggiato dalla notifica per il semplice fatto che ho sempre comprato opere con meno di 50 anni. Ma questo soppruso mi ha fatto molto arrabbiare così ho deciso di trasferirmi in Svizzera dove c'è totale libertà, si pagano le tasse, ma non c'è questa burocrazia asfissiante. Un danno che blocca ogni attività di scambio nella cultura italiana che si è provincializzata. Anche l'arte italiana del '900 è quasi sconosciuta fuori dall'Italia, ora il problema si porrà per la notifica delle opere di Fontana e fra un po' per l'Arte Povera, già collezionata dagli americani. L'effetto è un ridente sviluppo del marcato nero».

E a livello fiscale vi sono freni?
«Un'altra difficoltà del mercato italiano è la disparità fiscale negli scambi rispetto a vicini paesi come Francia, Svizzera e Regno Unito: in Italia si finisce per scambiare opere di medio livello, perché le cose migliori escono. Capisco la protezione di quadri nelle chiese e nei musei, ma non per l'arte moderna dell'800 e 900, in Italia non c'è neanche il posto dove esporla, mentre in Svizzera, Olanda, Francia ogni città ha un museo di arte moderna».

Cosa osserva oggi?
«Quando ho iniziato a collezionare l'arte contemporanea era per specialisti e appassionati, oggi è un fenomeno di moda, l'opera è trasformata in feticcio o in facile status symbol riconoscibile a un largo pubblico. Ad esempio l'enorme successo dell'arte cinese è un disastro culturale, conosco solo un buon artista Yang Fudong, che fa fotografie e piccoli film, ma non ho comprato nulla. L'arte è importante se esprime dei valori fondamentali della vita e non delle forme più o meno strane».

Che cosa compra oggi?
«Io e mia moglie continuiamo a collezionare Sonia Costantini, Christiane Lohr, David Simpson, Alfonso Frattegiani. Penso che lo sboom ridimensionerà tutto, per i galleristi sarà un periodo di magra, ma per i collezionasti è un buon momento per comprare. Non in asta però perché i collezionisti le cose belle non le vendono».

Ha mai comprato in asta?
«Una volta sola un legno di Robert Therrien di Los Ageles».

Un consiglio ai giovani collezionisti?
«Ora i collezionisti dovrebbero tornare a parlare tra loro, perché i musei arrivano agli artisti sempre con ritardo di anni e talvolta con scelte sbagliate. E poi direttore e curatore devono essere due persone diverse, perché il critico troppo spesso è interessato all'opera che espone».

Dal 1956 al 2000 il conte Panza ha collezionato circa 2.500 lavori. Tra il 1991-92 una parte della collezione degli anni 60-70 (300 opere) di arte Minimalista, Concettuale e Postminimal fu ceduta al Guggenheim di New York alla metà della stima fatta allora dagli esperti, circa 10 milioni di dollari, altre 350 opere donate e altre 335 date in prestito di lungo periodo. Mentre qualche anno prima, nel 1984 il MoCa aveva acquistato dal conte 80 opere germinali di artisti già affermati (da Fautrier a Kline, Lichtestein Oldenburg, Segal e Tapies), successivamente Panza ne donò altre 17 degli artisti di Los Angeles. «Ho tentato di fare una donazione di 150 opere di arte Minimal al museo di Rivoli nell'84, ma senza successo» conclude.


Le foto degli interni di Villa Panza (clicca sull'immagine per ingrandirla)

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