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Tutto il barocco sull'Arno - Il repertorio della pittura fiorentina del Seicento: identificate le opere di 70 maestri conservate in raccolte pubbliche e private

di Antonio Paolucci
Francesca Baldassari è studiosa di eccellente formazione e di consolidato prestigio. Ha pubblicato monografie importanti (Carlo Dolci nel 1995, Gian Domenico Ferretti nel 2002, Simone Pignoni quest'anno) ha curato l'acquisizione alla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia della collezione di Piero Bigongiari consegnandola al catalogo Il Seicento fiorentino fra favola e dramma (2004).
Ora dà alle stampe i monumentali indici dedicati alla Pittura del Seicento a Firenze, un'opera che è sintesi e coronamento dei suoi studi. Il fatto che il grande volume sia stato promosso e finanziato da Voena-Robilant e che la sua presentazione avvenga in concomitanza con la ventiseiesima edizione della Biennale, nel cinquantesimo anniversario del mitico Palazzo Strozzi 1959, non è – lo vedremo – casuale.
È passato circa un quarto di secolo dalla pubblicazione del pioneristico e per tutti noi per molti anni insostituibile Repertorio di Beppe Cantelli (1983) e dalla indimenticabile mostra curata nel 1986 da Piero Bigongiari e da Mina Gregori. Da allora gli studi sul Seicento fiorentino sono cresciuti in Italia e all'estero in modo diffuso e minuzioso. Francesca Baldassari raccoglie il frutto delle tante ricerche, delle molte scoperte, delle innumerevoli attribuzioni emerse negli ultimi anni e decenni e ci consegna quello che lei chiama «il punto della situazione».
All'anno 2009 il punto della situazione vuol dire settanta biografie di pittori fiorentini del Seicento, ognuna corredata dal "corpus" delle opere note e dalla bibliografia essenziale, ognuna fornita di documentazione iconografica selezionata per un totale di 530 immagini, di cui 90 a colori.
Il primo effetto è – se mi è consentito il termine – di "stupore storiografico". Perché settanta pittori fiorentini del Seicento sono dieci volte quelli conosciuti e praticati anche solo quaranta anni fa. Quando, alla fine degli anni Sessanta io entravo nella carriera delle Soprintendenze, fresco di studi e di concorso, i nomi noti erano pochi e quei pochi collocati dentro uno schema didattico semplice e convenzionale.
Si conoscevano Santi di Tito e l'Empoli, l'uno e l'altra citati ad esempio del conservatorismo fiorentino, campioni di pittura devota impostata sui modelli del grande secolo, su Fra Bartolomeo, su Andrea del Sarto, sul Sogliani. C'erano poi il Passignano e il Cigoli a rappresentare le prime timide aperture alla modernità seicentesca per il tramite del colore veneto e della maniera romana.
Qualche attenzione veniva riservata al Furini. Le scene mitologiche improntate a sensuale patetismo immerse nelle nebbie azzurre del suo sfumato, erano le uniche che si potessero vedere riprodotte nei manuali di storia dell'arte. Carlo Dolci era tecnica impeccabile, minuzia e lucidità fiamminghe, ma era anche infinita mestizia, iperdevozione, Madonne estatiche e Cristi dolorosi.
Giovanni da San Giovanni non si poteva non conoscerlo non fosse altro che per gli affreschi del sontuoso Salone che di lui porta il nome a Palazzo Pitti e andava collocato, come Cecco Bravo, sotto l'epigrafe della bizzarria fiorentina. Quanto al Volterrano più che per i cieli barocchi della Santissima Annunziata e della Cappella Corsini al Carmine, lo si ricordava per quel quadretto della Galleria Palatina noto come La burla del piovano Arlotto, piccolo capolavoro di naturalismo giocoso, nella tradizione dialettale e "cruscante" della erudizione cittadina.
Quaranta anni fa la nostra conoscenza del Seicento fiorentino, stava tutta o quasi nei nomi che ho citato e nei giudizi superficiali e convenzionali che ho cercato di riassumere. Artisti grandi e veri come Alessandro Allori, Lorenzo Lippi, Giovanni Martinelli, Felice Ficherelli (il Tarquinio e Lucrezia della collezione Luzzetti, bello come il Cagnacci più bello!...) Simone Pignoni, Cesare Dandini, Jacopo Vignali, Alessandro Rosi, ci erano sconosciuti. Per non dire dei tanti comprimari che ora affollano, biografati e catalogati, forniti di letteratura e di documentazione fotografica, gli indici della Baldassari.
Per tutti poi, per i maggiori come per i minori, valeva il giudizio critico sostanzialmente svalutativo nei confronti di una stagione pittorica considerata nostalgica degli antichi splendori, squisitamente autoreferenziale, del tutto marginale rispetto ai fatti e alle persone (Annibale Carracci e Caravaggio, Rubens e Bernini) che attraversavano l'Italia e l'Europa.
Come in quaranta anni siano cambiate le cose nella conoscenza filologica e nel giudizio critico e di chi sia il merito dell'emersione del Seicento pittorico fiorentino alla storia dell'arte, Francesca Baldassari ce lo fa capire in modo tanto semplice quanto efficace. La stragrande maggioranza del corredo fotografico in bianco e nero e la totalità di quello a colori, riproduce opere di proprietà privata.
Cosa vuol dire questo? Vuol dire che la riscoperta di quella stagione pittorica è merito precipuo dell'antiquariato e del collezionismo.
Gli studiosi hanno fatto la loro parte (Mina Gregori, Piero Bigongiari, Beppe Cantelli in primis e con loro una folta schiera di colleghi italiani e stranieri da Ewald a Chapell, da Sandro Bellosi a Stella Rudolph, a Marco Chiarini, a Chiara D'Afflitto) ma a motivare e a trainare le loro ricerche e dunque a guidare l'emersione del Seicento fiorentino sono stati i privati. Collezionisti-conoscitori come Etro, Kolliker, Bigongiari, antiquari-conoscitori come Pratesi, Luzzetti, Moretti, Voena, Robilant. Solo per dire dei nomi che più di frequente ricorrono negli indici.
Ecco perché è giusto che il libro di Francesca Baldassari venga presentato nel cinquantesimo della Biennale dell'Antiquariato. È un monumento all'orgoglio professionale di una categoria che ha svolto e continua a svolgere un ruolo culturale prezioso. Un ruolo che è di valorizzazione ma anche di arricchimento quantitativo e qualitativo del patrimonio artistico nazionale. Sembrerà paradossale dirlo ma è così quando si pensa ai tanti capolavori che negli ultimi quaranta anni gli antiquari hanno riportato in Italia dalle piazze estere per soddisfare l'interesse di clienti da loro stessi orientati e formati.
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1Francesca Baldassari, «La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere», Robilant-Voena, Torino, pagg. 766, s.i.p.

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