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I dodici colpi del detective Zeri

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I dodici colpi del detective Zeri

di Marco Carminati
Federico Zeri è stato l'ultimo Sherlock Holmes della storia dell'arte italiana. È rimasta proverbiale la sua capacità di riconoscere l'esatta paternità di dipinti o sculture finiti fuori contesto, posti sotto errate attribuzioni o riferiti a cronologie improbabili; oppure smembrati, danneggiati, modificati da successivi restauri.
Una volta gli chiesi a bruciapelo: «Professore, qual è il trucco?». Lui rispose: «Non ci sono trucchi, basta ragionare seguendo più o meno il seguente schema: bisogna prima capire lo stato di conservazione dell'opera e identificare gli eventuali interventi di restauro. Questa fase preliminare è importantissima perché è qui che si può capire se l'opera è autentica o falsa, e chi non lo capisce spesso prosegue prendendo micidiali cantonate. Poi cerco di comprendere in che secolo il quadro è stato prodotto: lo stile, la gestualità e perfino i dettagli della moda mi sono d'aiuto. Successivamente provo a collocarlo geograficamente: un dipinto fiorentino e senese del Trecento, ad esempio, si possono distinguere dalla cuspide della tavola, molto appuntita a Siena, molto meno a Firenze. Sono dettagli che funzionano ancora con buona approssimazione. Mano a mano che si familiarizza con gli artisti, ci si accorge che ogni maestro ha una struttura mentale dalla quale non esce: alcuni pittori come Foppa, Antoniazzo Romano o Pietro Perugino sono così. Salvo geni sommi e imprevedibili come Raffaello, Michelangelo o Rosso fiorentino, gli altri difficilmente si lanciano fuori dal seminato. Così, si finisce per imparare il loro stile e alla fine riconoscerli».
È ovvio che Zeri stava minimizzando. In realtà egli raggiunse i traguardi che lo hanno reso celebre anche perché viveva in una casa sepolto da quasi trecentomila fotografie mandate praticamente a memoria e poteva disporre brevi manu di 46mila volumi d'arte, 37mila cataloghi d'asta, 60 riviste di settore. Si aggiunga il fatto che all'esercizio del riconoscimento dei quadri egli si dedicava praticamente ogni giorno e che la natura lo aveva dotato di un computer nel cervello capace di schedare e restituire alla velocità della luce una quantità di dati figurativi impressionanti.
Sarebbe davvero bello poter rivedere Zeri al lavoro nelle vesti dell'infallibile detective che interroga quadri e fotografie finché non giunge alla soluzione del caso. Ebbene, per pochi mesi sarà possibile – seppur parzialmente – accedere a questo sogno, visitando la mostra «Federico Zeri. Dietro l'immagine» che la Fondazione Zeri di Bologna presieduta da Anna Ottani Cavina ha organizzato al Museo Archeologico bolognese per celebrare i dieci anni dalla scomparsa del grande conoscitore.
In mostra ci sono le immagini di Zeri e della sua casa di Mentana, e ci sono le più belle foto storiche della sua fototeca. Ma ci sono soprattutto dodici opere d'arte di grande rilievo che rappresentano dodici "casi" esemplarmente risolti da Zeri. Sotto un Volto di Cristo sfigurato dalle ridipinture, ad esempio, lo storico dell'arte riconobbe la mano di Pietro Cavallini. Oppure si accorse che un Santo Evangelista della collezione Amedeo Lia di La Spezia altro non era che la parte mancante di un polittico smembrato di Pietro Lorenzetti. Davanti a due tavole trecentesche con "paesaggi puri" conservate nella Pinacoteca di Siena, Zeri capì che, in realtà, erano opere del Sassetta, quindi risalivano a un secolo più tardi e non erano affatto "paesaggi puri" ma frammenti di una composizione più ampia.
Il professore di Mentana ebbe il merito di aver portato alla luce figure dimenticate dell'arte italiana come Donato de' Bardi (uno strepitoso pittore del Quattrocento lombardo-ligure), il Maestro dei Baldraccani o il Maestro dei Paesaggi Kress (quest'ultimo identificato nel pittore Giovanni di Lorenzo Larciani). Con poche mirabili osservazioni, Zeri intuì anche che una semplice Natura morta con rose e gigli altro non era che una toccante "preghiera figurata" rivolta alla Vergine Maria.
Ma lo scoop degli scoop fu il riconoscimento di quattro statue "ottocentesche" trovare nel 1965 in una villa di Frascati. L'occhio del critico si accorse che qui l'Ottocento non c'entrava nulla: questi marmi erano opera di Pietro Bernini aiutato dal suo giovane e promettente figlio Gian Lorenzo. Non si trattò di una scoperta qualsiasi: il loro recupero costrinse gli studiosi a ripensare l'intera genesi della scultura barocca a Roma.
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1 «Federico Zeri. Dietro l'immagine. Opere d'arte e fotografia», Bologna, Museo Civico Archeologico, dal 10 ottobre 2009 al 10 gennaio 2010. Catalogo Allemandi.
Il personaggio

Nato a Roma nel 1921 e scomparso a Mentana nel 1998, Federico Zeri è stato con Berenson, Longhi e Briganti uno dei più importanti storici dell'arte del XX secolo. Grande conoscitore dotato di un occhio quasi infallibile, lo studioso ha lavorato in qualità di consigliere con mercanti del calibro di George Wildenstein e Alessandro Contini Bonacossi, e collezionisti come Vittorio Cini e J. Paul Getty. Tra i suoi studi vanno ricordati i cataloghi dei dipinti italiani del Metropolitan Museum di New York e della Walters Art Gallery di Baltimora. La bellissima autobiografia, dal titolo Confesso che ho sbagliato, è appena stata ristampata da Longanesi (€ 16,60).

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