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Senza record d'asta l'arte al femminile

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Senza record d'asta l'arte al femminile

«Dalla cronaca all'eternità senza passare dalla storia». Così appare a Lea Vergine, decana delle critiche d'arte contemporanee, il mondo dell'arte al femminile dei primi del 900 (1910-40) quando si avvicina per studiarlo e realizzare nel 1980 a Milano a Palazzo Reale (poi a Roma e Stoccolma ) la mostra «L'altra metà dell'Avanguardia». L'esposizione per la prima volta alza il velo su oltre 100 artiste europee, russe e americane. La curatrice ritrova documenti, ricostruisce storie, incontra artiste: la mostra diventa una pietra miliare in Italia, ma anche un'opéra tragique, dalla quale è imprescindibile partire per conoscere il ruolo dell'arte femminile nella storia. «Oggi la situazione è apparentemente cambiata – racconta Lea Vergine –, le artiste vengono premiate e invitate nelle mostre dei musei, sono direttrici e curatrici, ma non si può in 100 anni cancellare la storia, perché dietro tutto questo successo ci sono sempre due differenze: la valutazione del loro valore, ancora molto lontano dalle quotazioni degli artisti, e il riconoscimento ufficiale almeno 20 o 30 anni dopo la loro produzione germinale. Solo sette o otto artiste di quella mostra oggi hanno valori economici in ascesa. Alcune sono emerse dal nulla come Meret Oppenheim e Sonia Delaunay, ma quel lavoro di scoperta intellettuale ha lasciato spesso il posto alle successive narrazioni di storie tragiche» prosegue Vergine. «Oggi non capita più in galleria – ricorda la critica – di vedere un collezionista cambiare opera perché la prima scelta portava una firma femminile».
Dalla prima personale nel 1945 e alla partecipazione all'Irascibile Eighteen del 1950 Louis Bourgeois riceverà un'antologica dal MoMA solo nel 1982. Negli '60 e '70 sono molte le artiste che cercano spazio, in Italia Carol Rama aderendo al Mac (Movimento Arte Concreta), Dadamaino, Carla Accardi e Carol Rama. Molte di loro partecipano ai gruppi ed espongono in collettive negli anni '70 con linguaggi personali e voci di denuncia sociale e politica. Intanto negli Stati Uniti le artiste hanno conquistato spazi con il movimento femminista: gallerie e musei si aprono alle donne. Fluxus è un movimento aggregante. Il corpo delle donne (body art) entra in scena con le performance di Laurie Anderson, Yoko Ono («Cut Piece» nel 1964), Ana Mendieta, Barbara Kruger, Gina Pane, Marina Abramovich e Rebecca Horn, poi ancora linguaggi e materiali differenti negli anni '70 e '80 trovano nell'arte concettuale di Marisa Merz (1931) e Jenny Holzer (1950) la loro espressione, sino a Sophie Calle e al tema della distanza.
«Oggi le artiste fanno carriera e hanno successo – prosegue Vergine –, ma ci vorrà ancora qualcuno che spieghi perché nelle donne è così connaturato il masochismo e l'oblatività». Cancellarsi, mettersi a disposizione degli altri è un modus vivendi oggi superato dall'arte, sempre meno di genere. I nuovi media, dalla fotografia (Cindy Sherman) alla video art, restituiscono il punto di vista personale, e dopo il riflusso degli anni '80, tornano i grandi temi dell'identità e della differenza, dell'amore, della morte e della guerra. «Dai movimenti lesbo e femministi, politicamente impegnati, – prosegue Vergine – non è mai nata arte interessante, però portare i tampax al MoMA ha modificato la mentalità generale. La crisi del femminismo ha definitivamente spazzato l'arte di genere, incapace di includere gruppi eterogenei». Si esce dalla bipolarità: le donne si occupano di argomenti politici, emarginazione e malattie, situazioni deflagranti e di confine con i fim sull'Islam di Shirin Neshat o le installazioni "politiche" di Mona Hatoum. L'arte ormai è globale in ogni angolo della terra: i linguaggi di Cady Noland e Kiki Smith scaturiscono dalle loro storie e dal bisogno di comunicare, ma rappresentano tutti, così come le provocazioni sexy di Cecily Brown e Kara Walker. In Italia queste storie ce le raccontano, tra le altre, Liliana Mora, Eva Marisaldi, Vanessa Beecroft e Grazia Toderi.
Marilena Pirrelli
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