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"Die Kunst, das Geld und die Krise"

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"Die Kunst, das Geld und die Krise"
(L'arte, il denaro e la crisi)

  • –di Silvia Anna Barrilà

Un oligarca russo distrugge con un mitragliatore AK 47 un'opera di Damien Hirst che ha acquistato a Londra il 15 settembre 2008 e non riesce a rivendere; Jeff Koons dichiara lo stato d'insolvenza insieme al suo gallerista Larry Gagosian; il regime cinese proibisce il libero mercato dell'arte dopo un'ondata di suicidi di artisti impoveriti, mentre a Berlino i galleristi in condizioni d'indigenza si uniscono in una cooperativa rigorosamente socialista.
Con tali scenari fantascientifici di un futuro post-crisi economica si apre il libro "Die Kunst, das Geld und die Krise" (L'arte, il denaro e la crisi) del critico d'arte del Süddeutsche Zeitung Holger Liebs. Il boom dell'arte contemporanea si è concluso e il critico tedesco si pone domande sul rapporto tra arte e capitale: l'arte segue il denaro? È avida? Che cosa resta dell'arte, una volta che il denaro finisce? Rispondono, oltre all'autore stesso, alcuni protagonisti della scena artistica contemporanea in cinque saggi che affrontano il tema da diverse prospettive.

I primi due studi esaminano la questione da un punto di vista storico. Secondo Holger Liebs i boom dell'arte ci sono sempre stati, anche in epoche passate, e non sono dannosi per la cultura, anzi, sono stimolanti – si noti che proprio grazie alla nascita del mercato dell'arte nel XV sec. gli artisti hanno conquistato l'indipendenza dalla chiesa e dalle corti. Inoltre l'autore sottolinea come anche i musei, considerati templi della cultura liberi da ogni interesse economico, non siano immuni dai meccanismi del mercato – si pensi agli istituti americani in cui sono custodite le opere che il mercante Joseph Duveen acquistava in Europa per rivendere negli Stati Uniti a fine Ottocento e, si dice, non disdegnasse ritoccare di suo pugno per renderle più conformi ai gusti dei nuovi collezionisti (è il caso di un presunto Pisanello della National Gallery of Art di Washington). Il momento della nascita del mercato viene rievocato anche da Andreas Beyer, direttore del Deutsches Forum für Kunstgeschichte di Parigi: alla fine del Medioevo il valore di oggetto di culto dell'opera d'arte passa in secondo piano per lasciare il posto al valore estetico, e questa profanazione dell'arte porta conseguenze tra cui la mobilità dell'opera, la diffusione della grafica, la nascita del ritratto e della figura del mercante. Inoltre Beyer analizza una particolare forma di collezionismo che trascende le consuete regole del mercato, quella delle collezioni d'artista e dello scambio di opere tra artisti finalizzato allo studio della tecnica.

I saggi successivi fanno luce sull'intreccio tra mercato e meccanismi di produzione, circolazione e ricezione dell'arte e sul ruolo delle istituzioni museali. Secondo Beat Wyss, professore alla Hoschule für Gestaltung di Karlsruhe e allo Schweizerisches Institut für Kunstwissenschaft di Zurigo, tutte le problematiche culturali, sociali e scientifiche del presente sono dominate dalla ricerca del massimo profitto nel tentativo di eludere il lavoro, e tale discorso si riscontra anche nell'arte contemporanea. L'artista, una volta artigiano, affronta ora la carriera come un terno al lotto; il collezionista, che prima investiva in arte e attendeva la crescita del valore, irrompe adesso a corsa già iniziata – alla base dell'atto d'acquisto c'è oggi il sex-appeal; i musei ospitano mostre-blockbuster alle quali i visitatori accorrono come pellegrini a Gerusalemme; si diffonde il museo privato, strumento finalizzato unicamente ad accrescere rapidamente il valore delle opere esposte. Il museo privato è anche al centro del saggio di Chris Dercon, direttore della Haus der Künste di Monaco, il quale denuncia i rischi legati alla diffusione di tale modello e auspica una ristrutturazione della collaborazione tra collezionista e museo pubblico che tenga conto del compito principale dell'istituzione, la conservazione della memoria e la comunicazione della cultura. Che il museo non sia estraneo alle dinamiche del mercato, ma anzi ne sia un protagonista attivo è dimostrato da una situazione paradossale come quella creatasi al Moderna Museet di Stoccolma nel 1968, raccontata nel saggio di Daniel Birnbaum, rettore della Städelschule e direttore del Portikus di Francoforte: Pontus Hultén, curatore leggendario che sosteneva l'autonomia dell'arte rispetto al mercato, non si fece scrupoli di ordinare lui stesso la produzione di un centinaio di Brillo-Box di Andy Warhol che erano necessarie per una mostra, immettendo sul mercato opere la cui originalità è oggi discussa.

L'arte non è estranea nemmeno all'economia: Thomas Girst, direttore della comunicazione culturale della BMW a Monaco, spiega i benefici per un'azienda che investe nell'arte e indica i principi guida di un tale investimento – puntare sulla libertà assoluta del potenziale creativo (la portata innovativa dell'opera d'arte si riflette sull'immagine dell'azienda) e legare il nome dell'azienda ad un formato in modo esclusivo e a lungo termine. Il modello storico da seguire è la mostra "When attitude becomes form" curata da Harald Szeemann e finanziata da Philip Morris Europa alla Kunsthalle di Berna nella primavera del 1969.

Intervista all'autore Holger Liebs




Titolo: Die Kunst, das Geld und die Krise (L'arte, il denaro e la crisi)
Edito da: Holger Liebs
Con saggi di: Andreas Beyer, Daniel Birnbaum, Chris Dercon, Thomas Girst, Holger Liebs e Beat Wyss.
Anno di pubblicazione: 2009
Casa editrice: Verlag der Buchhandlung Walther König
Pagine: 158
Lingua: Tedesco
Prezzo di copertina: € 14,00
ISBN: 978-3-86560-702-7

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