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Maxxi e Macro al lavoro

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Maxxi e Macro al lavoro

di Angela Vettese
Giovedì grasso per l'arte contemporanea a Roma. In un solo pomeriggio sono stati presentati il catalogo della collezione del museo statale Maxxi e della sua casa madre, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna, nonché la prima installazione permanente al museo comunale Macro: una struttura specchiante del francese Daniel Buren che gioca con l'architettura del luogo. L'8 aprile scade tra l'altro il bando per due altre opere in situ, da realizzarsi con un fondo cospicuo applicando la cosiddetta legge del 2 per cento.
La capitale va affermando la sua volontà di farsi fulcro per l'arte sperimentale in Italia. La coincidenza delle presentazioni l'11 marzo e il fatto che a quella del catalogo Maxxi fosse relatore anche Luca Massimo Barbero, direttore del Macro, rendono chiaro il desiderio di non disperdersi in rivalità. Roma arriva dopo le grandi capitali europee e cerca di recuperare il tempo perso, tornando ai fasti di stagioni in cui la città aveva accettato architetture ardite come l'Eur senza i polveroni nati ora per quelle di Richard Meier o di Zaha Hadid, Palma Bucarelli comperava per la Galleria Nazionale con l'elasticità di un privato, la Sapienza si dotava delle prime cattedre italiane d'arte contemporanea. Questi eventi aprono almeno due temi su cui riflettere.
Il primo riguarda l'opportunità di portare i maggiori investimenti nell'unica grande città italiana in termini di abitanti. Forse dovremmo smetterla di pensare che avere mille campanili sia giovevole, ma risulta difficile. Né dicono una parola decisiva gli esperimenti stranieri: nel mondo si sono andati affermando due modelli di museo, da un lato quello che sta nelle metropoli, dotate di una massa critica di abitanti che lo rende necessario e vivace, dall'altro quello che connota e identifica una città relativamente piccola: Basilea, Copenhagen, Eindhoven, hanno costruito la loro identità internazionale anche grazie a musei non grandissimi ma capaci di porsi, proprio per la loro maneggevolezza, come luoghi pilota. Inutile pensare che da noi ci sia posto per tutti: i fondi statali per la cultura, pochissimi, saranno quasi tutti drenati dalla capitale; gli enti locali sono asfittici quasi ovunque e vanno chiedendo oboli a privati di ogni specie.
Il secondo tema è quello del modo in cui vengono costruite le collezioni museali. È bello avere delle opere permanenti, soprattutto se fatte "riprendendosi il ruolo della committenza", secondo un'espressione cara alla direttrice-arte del Maxxi, Anna Mattirolo. Scorrendo i due volumi del catalogo appena uscito, però, salta agli occhi quanto possa essere difficile il mestiere di scegliere "per sempre". Tra gli artisti c'è chi, come Laura Grisi, ha avuto dalla sua critici come Palma Bucarelli e Germano Celant, gallerie come la Marlborough e Leo Castelli, e oggi è un nome tra gli altri.
Altri sono stati nel dimenticatoio per anni, come i cinetici dei primi anni Sessanta, da Jesus Rafael Soto a Julio Le Parc a Gianni Colombo. Giulio Carlo Argan che li volle e li preferì alla pop art (tra cui Robert Rauschenberg, comperato in ritardo) fu accusato di innamoramento ideologico: le loro opere sembravano l'ultimo risultato possibile del l'idea di avanguardia. Solo oggi capiamo che hanno germinato una discussione sul rapporto tra autore e spettatore che è risultata fondante per l'arte relazionale degli anni Novanta. Ancora, ci sono nomi recenti che ci strappano il consenso – Elina Brotherus, Richard Billingham, Wolfgang Tillmans, Michael Raedecker tra questi – che però non sono ancora dei classici e quindi hanno tutto il tempo per deludere.
La raccolta è mediocre e lontana dal respiro di quelle dei musei presi come riferimento, dalle due Tate di Londra al Pompidou di Parigi. Del resto abbraccia acquisizioni accavallatesi nel tempo senza un progetto unitario: acquisti, comodati, donazioni sovrappostisi dal 1958 al 2008 e tali da rispecchiare il gusto di molti direttori e curatori diversi e con mezzi diseguali negli anni: da Palma Bucarelli a Italo Faldi, Giorgio De Marchis, Augusta Monferini, Sandra Pinto alla Gnam; e poi Paolo Colombo e Anna Mattirolo, con un piccolo nugolo di curatori, da quando è nata la filiazione Maxxi. Recenti i lasciti di Claudia Gianferrari Arturo Schwarz, né mancano regalie degli artisti anche se queste, come chiarisce la direttrice della Gnam Maria Vittoria Marini Clarelli, possono essere armi a doppio taglio.
Si sa che circa due terzi di ciò che si compra nel contemporaneo sarà presto dimenticabile, ma anche che un «vecchio straccio» (l'espressione con cui in Parlamento si apostrofò un quadro di Alberto Burri) può rivelarsi un patrimonio. Speriamo che chi avrà in carico la collezione – si parla di un curatore straniero e di una soprintendenza Sgarbi per lo Stato – sia dotato di mezzi materiali e legali per agire con tempestività, sapendo che, come sottolinea Roberto Cecchi, direttore Parc, «l'eccesso di cautela è spesso peggiore dell'eccesso di coraggio».
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1Stefania Frezzotti, Carolina Italiano, Angelandreina Rorro, «Galleria Nazionale d'Arte Moderna & Maxxi. Le Collezioni 1958-2008», Electa, Milano, 2 volumi, pagg. 856, € 75,00;
1«Daniel Buren, Danza tra triangoli e losanghe per tre colori», Macro, Roma, installazione permanente e mostra fino al
31 dicembre 2010.

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