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«Interpreto il mondo con ironia»

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«Interpreto il mondo con ironia»

U n fotografo, un curatore, un editore. Così si definisce Martin Parr, inglese classe 1952, secco e preciso, esattamente come la sua produzione fotografica, che con ironia racconta il buono e il cattivo tempo della società contemporanea. Il suo stile documentario – quota dai 2.200 a 8.700 euro a secondo di serie e formato: «Common Sense, Think of England», ed. 10, formato cm 50 x 76 costano 4.600, mentre «Small World, Signs of the Times» ed. 25 cm. 50 x 81 3.600 – poco convenzionale ha avuto autorevoli oppositori come Henri Cartier-Bresson e ha diviso per sei anni i grandi fotografi di Magnum Photos, fino al 1994, l'anno in cui Parr ottiene finalmente i 2/3 dei voti per diventare membro.
Cosa cerchi quando fotografi?
L'ambiguità, quella che tutti vediamo e sentiamo. È una questione molto sottile, di fatto sono un fotografo umanista e molto impegnato, ma cammuffo questo lato di me con l'intrattenimento perché oggi nessuno è più interessato al giornalismo tradizionale, non vende. Per sopravvivere è necessario dare un'interpretazione del mondo e ci sono molti modi per farlo. Questo non vuol dire che io sappia cosa voglia il pubblico, ma sono stato fortunato perché ho trovato delle piattaforme per mostrare il mio lavoro, Magnum e le gallerie d'arte con cui collaboro.
Nell'86 alla Serpentine Gallery di Londra hai mostrato la serie «The Last Resort». È iniziata da lì la tua collaborazione con le gallerie d'arte?
No, era ancora troppo presto. L'integrazione della fotografia documentaria nel mondo dell'arte è avvenuta 15 anni fa, ed è stata lenta e graduale. La mia prima collaborazione risale al 1997 con Rocket, una galleria d'arte di Londra.
Oggi le tue fotografie sono vendute soprattutto come opere d'arte. Pensi che sia la condizione ideale per un fotografo documentario, un po' come la carta stampata fino a tutti gli anni '70?
Penso davvero che oggi un fotografo debba guardare a tutti i canali possibili per far vedere il proprio lavoro, gallerie d'arte, di fotografia, riviste, giornali e soprattutto libri, che hanno ancora un ruolo primario nella disseminazione della cultura fotografica. La fotografia è un medium democratico e ha l'abilità di tradursi in arte o in qualcosa di economico come un quotidiano. Mi piace molto questa versatilità.
Hai curato il festival Les Rencontres d'Arles nel 2004, poi il New York Photo Festival nel 2008 e adesso la Biennale di Brighton, che inaugura il prossimo ottobre 2010. Come ti tieni aggiornato sulle nuove tendenze?
Viaggio molto e ho l'occasione di vedere diverse esposizioni. Visito annualmente la fiera Paris Photo e Arles, ma oggi bisogna guardare anche al mondo dell'arte. C'e un'audience incredibile, molto più vasto di prima e la fotografia è estremamente popolare anche grazie ad internet, che ha avuto un impatto enorme nella diffusione delle immagini.
Vai alle mostre di fine corso degli studenti d'arte e di fotografia?
Di solito non vado, ho amici fotografi che insegnano – tra questi anche miei colleghi di Magnum Photos – e se c'è un giovane talento mi arriva all'orecchio tramite questo "network naturale" di scambio di informazioni.
Cosa leggi?
«Aperture», «Foam International Photography Magazine» e «The Art Newspaper». Talvolta guardo anche a riviste d'arte specializzate come «Art Forum» e «Frieze».
Ho letto che non sei particolarmente interessato alle nuove generazioni di fotografi britannici….
La fotografia in Inghilterra, come ovunque, ha i suoi alti e bassi. Confermo le mie impressioni, mi sento più interessato all'Olanda, ma anche a nuovi contesti come quello argentino, dove ho trovato due ottimi fotografi che presenterò a Brighton.
Sa. D. A.
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