ArtEconomy24

Una holding chiamata Tiziano

  • Abbonati
  • Accedi
In Primo Piano

Una holding chiamata Tiziano

di Enrico Castelnuovo
Tiziano e bottega, ambito di Tiziano, bottega di Tiziano, Tiziano e aiuti. Vorremmo capire meglio cosa significhino certi termini, che cosa si celi dietro i cartellini che leggiamo nelle sale dei musei. Crediamo di saperlo: «bottega di Tiziano» è termine diminutivo, l'opera pur chiaramente tizianesca, non ha le qualità che si riconoscono all'autore; «Tiziano e aiuti» indica che il dipinto non è interamente autografo, si tratta insomma di termini limitativi se non peggiorativi. Ma esiste l'autografia integrale cara ai connoisseurs e al mercato? Ed esiste una "bottega di Tiziano" o piuttosto ne esistono diverse?
La cosa non è così semplice e il libro è assai importante non solo per le notizie sovente inedite sui diversi collaboratori di Tiziano, ma per quanto vi si legge sul formarsi e il funzionamento delle "botteghe". Il fatto che se ne scriva al plurale è già di per sé un dato assai significativo che coinvolge tempi, spazi, persone e aspetti differenti, pur rimanendone al centro la casa-atelier di Biri Grande, non lontana dalle Fondamenta Nuove dove Tiziano visse e operò per quasi un mezzo secolo durante il quale il laboratorio ebbe modo di mutare aspetto e composizione.
Partiamo dall'aspetto più ovvio: il coinvolgimento familiare. Cosa abbastanza comune per gli artisti, ma singolarmente esteso nel tempo nel caso di Tiziano: dal fratello Francesco al figlio Orazio, ai cugini Cesare e Marco, morto nel 1611 quasi quarant'anni dopo la scomparsa del maestro. Del clan fanno parte, oltre ai parenti alcuni fedelissimi come Girolamo Dente, non per niente detto Girolamo di Tiziano, e più tardi Valerio Zuccato e Emanuel Amberger, figlio del pittore che Tiziano aveva conosciuto ad Augusta, mentre aiuti, discepoli e collaboratori occasionali si succedono per breve tempo. Tra questi molti stranieri i neerlandesi von Calcar e Sustris, i bavaresi Hans Mielich e Christoph Schwarz e lo stesso El Greco.
Altro aspetto lo spazio: i viaggi di Tiziano per incontrare l'imperatore ad Augusta nel 1548 e nel 1550-51 sono in questo senso particolarmente significativi perché qui, come più tardi a Madrid, nasceranno quelle che potremmo chiamare delle "botteghe virtuali", botteghe di Tiziano senza Tiziano ma suscitate o dal passaggio e dalla breve attività dell'artista in loco o dall'arrivo di opere sue fondamentali come quelle eseguite per Filippo II e per l'Escorial.
Ad Augusta era giunto con alcuni collaboratori, non forse «le sette bocche da sfamare» di cui parla in una lettera ma certo tre o quattro persone di cui si avvale sia per aiutarlo nella stesura, sia per replicare opere particolarmente richieste, qui entra in contatto anche con pittori locali come Christoph Amberger che lo aiuta a restaurare il celebre Carlo V alla battaglia di Mühlberg dai danni riportati per una accidentale caduta e di cui il figlio, Emanuel, sarà più tardi un suo fedelissimo discepolo e collaboratore. E forse incontra anche Lucas Cranach che aveva seguito nella sua prigionia il suo patrono, l'elettore di Sassonia.
Ad Augusta, nelle case dei Fugger, e naturalmente al Biri Grande, Tiziano aveva una «stanzia» privata dove si ritirava a dipingere, distinta dal grande spazio dell'atelier che era il luogo del lavoro collettivo.
I membri delle botteghe partecipavano all'opera del maestro in diversi modi, diretti e indiretti, terminando tele appena abbozzate abbigliandole con «panni e vestimenti», replicando temi e composizioni di opere di successo, moltiplicando i ritratti più ricercati come quelli dei pontefici o dei sovrani, utilizzando e assemblando formule e schemi compositivi già sperimentati in opere destinate alla provincia prossima o lontana, come è il caso della celeberrima Assunta dei Frari il cui modello è ripreso in Dalmazia nel polittico di Dubrovnik o nel Feltrino in quello di Lentiai.
Significativa, e in qualche modo rivelatrice, è l'attività autonoma dei collaboratori, che colonizzano con le loro opere intere aree come l'avito Cadore, dove le richieste di pitture si intrecciano con problemi di rendite fondiarie e di cariche. Qui, le chiese di San Vito, di Venàs, di Vinigo, di Perarolo, di Calalzo, di Pieve, di Nebbiù contano opere di Francesco, di Orazio, di Cesare e di Marco Vecellio. Dipingere per le comunità cadorine è tuttavia altra cosa che lavorare per committenti della Dominante, altre le attese altre le consuetudini e i dipinti dei collaboratori di Tiziano sono qui ben diversi, spesso più arcaicizzanti, meno strutturati da quelli che gli stessi approntano per Venezia. Ciò si deve alla volontà di adeguarsi ad abitudini e a voleri altri da quelli prevalenti in laguna ma anche alla mancanza di un progetto del quale Tiziano solo poteva concepire e controllare l'esecuzione.
L'imporsi dei modelli tizianeschi in Europa è il prodotto di una quantità di fattori: la vasta produzione dell'officina, la grande diffusione attraverso le stampe, l'eccezionale autorità dei modelli che continuarono ad esercitare un richiamo ineludibile attraverso il tempo e lo spazio. Lo spiega, lo presenta, lo esemplifica questo imponente volume che intende restituire l'intero sistema operativo di Tiziano, impresa che implica tempi assai lunghi e coinvolge vari autori. Un libro importante la cui realizzazione si deve al Centro Studi Tiziano e Cadore benemerita istituzione che tra boschi e crode riesce a pubblicare una rivista di alto livello come «Studi Tizianeschi» e a portare avanti iniziative culturali che richiedono gran tempo e grande impegno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
1Giorgio Tagliaferro, Bernard Aikema, Matteo Mancini, Andrew John Martin, «Le botteghe di Tiziano», Alinari 24 Ore, pagg. 500, € 90,00.

© Riproduzione riservata