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Tomba di Sisto, colosso di bronzo

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In Primo Piano

Tomba di Sisto, colosso di bronzo

di Marco Bona Castellotti
Uno dei restauri più fulgidi compiuti recentemente è, senza ombra di dubbio, quello della tomba di bronzo del pontefice Sisto IV della Rovere in Vaticano, opera di Antonio del Pollaiolo, che vi appose la firma e la data 1493.
Sisto IV, zio di Giulio II, fu il primo papa del Rinascimento ad affrancare Roma dalla condizione municipale nella quale era precipitata nel Quattrocento, e a esaltare il valore universale della città eterna, alla luce della centralità della Chiesa. Fu Sisto IV a donare al popolo romano la statua di bronzo di Marco Aurelio, la Lupa e lo Spinario, e a metterle sul Campidoglio, fulcro civico ma anche spirituale di Roma per la presenza della basilica dell'Aracoeli, eretta nel punto in cui per tradizione la Madonna era apparsa all'imperatore Augusto.
L'imponente trasferimento di quei bronzi antichi sul Campidoglio era il segno dell'aspirazione di Sisto IV di coniugare la Roma antica a quella cristiana, e la sua tomba realizzata dal Pollaiolo a sua volta unisce antico e moderno.
Si tratta di un'immane massa di bronzo fuso, di incalcolabile splendore e peso fisico, situata in una delle sale che costellano l'ambiente del tesoro della basilica di San Pietro, ma nata in origine per arredare la cappella del coro. Accanto alla tomba di Sisto IV vi era anche quella di Giulio II e una superba zanna di elefante maschio africano, tuttora visibile nel tesoro.
Quando nel 1527 vi fu il sacco di Roma, uno degli episodi più luttuosi della storia della Chiesa, i Lanzichenecchi tentarono di profanare il sepolcro dei pontefici per trafugare quanto di prezioso vi era contenuto. Con quello di Giulio II riuscirono, mentre la tomba di Sisto IV resistette alla loro furia grazie all'inespugnabile sigillatura del coperchio. La forza monolitica del monumento era stata celebrata da Giacomo Grimaldi nella sua Descrizione della basilica antica di San Pietro, un manoscritto nel quale l'autore magnificava la perfetta connessione delle parti del monumento, tale che quando lo si dovette spostare dal coro alla cappella del Sacramento, alle Grotte Vaticane, lo si fece senza smontarlo. Lo stesso restauro, durato due anni, e realizzato con maestria da Sante Guido e illustrato in un bel quaderno pubblicato dalle Edizioni del Capitolo Vaticano con un saggio di Aldo Galli, venne condotto in loco, e una delle prime domande che sorgono al visitatore è come lo stupefacente monumento possa aver varcato la porta della sala dove giace. Il verbo giacere gli si addice, data l'ampiezza del basamento: una colata di bronzo che oggi appare fiammeggiante, quasi non fosse ancora del tutto raffreddata. La lucentezza dovuta al restauro ci consente di ammirare questo capolavoro rinascimentale ravvivato in ogni suo dettaglio dopo la pulitura, che ha liberato il bronzo dalla brutta patina scura e l'ha reso nitido nei contorni e nel modellato delle figure, a cominciare da quella di Sisto IV adagiato sul coperchio, per proseguire con le sette Virtù teologiche e cardinali.
Esse non sono atteggiate all'antica, anzi è proprio nella loro modernità che il Pollaiolo tocca il vertice di una bravura che non è soltanto da orafo. Alcune di queste figure femminili, come la Retorica e la Teologia, sono discinte per non dire seminude; pertanto negli anni Trenta del Novecento provocarono l'imbarazzo un po' risentito del barone von Pastor, celebre autore della Storia dei papi in sedici volumi, il quale non si peritò di rimarcare che quelle donne «non erano punto convenienti per una chiesa». Un parere diverso da quello di Sisto IV.
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