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Gli eroici Alleati dell'arte italiana

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In Primo Piano

Gli eroici Alleati dell'arte italiana

di Marco Carminati
Gli eroi che durante la Seconda guerra mondiale misero in salvo il patrimonio artistico italiano hanno nomi e cognomi. Si chiamavano Pasquale Rotondi, Gian Alberto Dell'Acqua, Francesco Arcangeli, Cesare Fasola, Giovanni Poggi, Ugo Procacci, Emilio Lavagnino, Palma Bucarelli, Giulio Carlo Argan, Amedeo Maiuri e Bruno Molajoli. Se oggi ammiriamo intatti gli Uffizi o la Galleria di Urbino, la pinacoteca di Brera o il Tesoro di San Marco, dobbiamo dire grazie soprattutto a loro.
Quel che si trovarono ad affrontare questi mitici funzionari dello Stato nel quinquennio 1940-1945 ci appare ancor'oggi incredibile. Allo scoppio del conflitto misero al sicuro il patrimonio artistico mobile fuori dalle città in ville o centri minori. Poi, a partire dal 1943, quando l'Italia divenne un campo di battaglia e precipitò nel caos, si prodigarono con coraggio per salvare le opere d'arte dal fuoco incrociato del fronte e dalla bramosia dei tedeschi che le volevano "proteggere" trasferendole in Germania.
Dopo lo sbarco in Sicilia, la propaganda nazi-fascista s'era fatta martellante: si disse che le truppe alleate (che già avevano massacrato di bombe Milano, Genova, Torino, Napoli e Roma) avrebbero ora calpestato il sacro suolo italiano devastando il patrimonio nazionale. Per rendere più efficace il messaggio si fece leva sul razzismo, lasciando immaginare masnade di marocchini, tunisini, indiani e negri pronti a violentare e distruggere tutto quello che gli fosse capitato tra le mani, opere d'arte comprese.
Assuefatti da vent'anni di insulsa propaganda, nessuno dei funzionari italiani cascò nella trappola. Invece di affidare il patrimonio nazionale alla Kunstschutz, l'organizzazione tedesca di salvataggio delle opere d'arte presieduta in Italia da Ludwig Heydenreich (peraltro grande e autorevolissimo storico dell'arte), gli eroi del patrimonio italiano preferirono affidare i loro tesori a Pio XII (che li accolse prontamente in Vaticano) o preferirono nasconderli in nuovi rifugi di fortuna al Nord, come fece Gian Alberto Dell'Acqua coi capolavori di Brera e della Lombardia, stipati sulle Isole Borromee al lago Maggiore. I funzionari italiani compresero presto che la salvezza del patrimonio nazionale minacciato dalle bombe e dai tedeschi sarebbe stata garantita solo dalle Forze Alleate in arrivo. Perciò cercarono di contattarle. Invece di "marocchini violentatori", i funzionari italiani si trovarono di fronte a un impeccabile corpo d'ufficiali anglo-americani appositamente creato in seno alle Armate alleate con il compito di salvaguardare il patrimonio artistico italiano, mano a mano che il fronte avanzava verso Nord.
Le imprese di questi trenta ufficiali alleati – non meno rocambolesche di quelle dei colleghi italiani – sono la trama di un libro avvincente scritto dalla giornalista italo-americana Ilaria Dagnini Brey. Frutto di anni di ricerche e di toccanti interviste agli ultimi testimoni, il volume ci restituisce – col ritmo di un romanzo d'avventura – i profili e le gesta di questi ufficiali gentiluomini.
Soprannominati ironicamente «Venus Fixers» dai loro stessi commilitoni, questi tenenti "aggiustaveneri" erano stati selezionati tra il fiore del l'intellighentia inglese e americana. Erano storici dell'arte, direttori di musei, architetti, archeologi, restauratori e archivisti. I loro nomi oggi ci dicono poco, eppure è anche grazie a loro se oggi l'Italia può continuare a sfoggiare il proprio patrimonio di bellezze artistiche. Si chiamavano Fred Hartt, Perry Cott, Douglas Cooper, Roger Ellis, Deane Keller, Ernest De Wald, Basil Marriott, giusto per citarne alcuni. Sappiamo che erano stati arruolati e addestrati già a partire dal 1942 in vista dell'invasione alleata dell'Europa. Prima di partire per la campagna d'Italia avevano predisposto lunghe liste di monumenti e opere d'arte da individuare e mettere in sicurezza una volta giunti nel Bel Paese. Parallelamente, alcuni di loro avevano redatto brevi guide artistiche da distribuire ai soldati per renderli più consapevoli del l'importanza culturale e storica del la nazione che stavano invadendo. E ci fu anche chi tenne brillanti conferenze alle truppe per prepararle "artisticamente" allo sbarco.
Bisogna sottolineare che la presenza della commissione artistica in mezzo alle forze d'occupazione creò, inizialmente, non pochi problemi. In effetti, questi ufficiali erano dei militari sui generis: indossavano divise impeccabili, fatte cucire su misura, portavano foulard di seta attorno al collo e inforcavano eleganti occhiali in tartaruga. Parlavano quasi tutti un italiano perfetto, e taluni, quando incontravano un prete, gli si rivolgevano direttamente in latino. Capitò persino che uno di loro, entrando in una chiesa a Venezia, si sedesse all'organo e improvvisasse un concerto jazz.
Ebbene, questa congrega di azzimati ufficiali pretendeva di sottrarre all'esercito mezzi di trasporto e carburante per salvare quadri e statue, pretendeva di usare i soldati per setacciare le rovine alla ricerca di frammenti architettonici e, peggio ancora, impediva l'accesso ai militari nei palazzi storici di maggior pregio. Ci volle un proclama di Eisenhower per leggittimare sul serio il lavoro degli "aggiustaveneri": «Stiamo combattendo in un paese che ha dato un grande contributo al nostro patrimonio culturale, un paese ricco di monumenti che hanno ispirato la nascita e il progresso della nostra civiltà. È nostro dovere rispettare questi monumenti, per quanto la guerra lo consenta».
Avuta carta bianca, gli "aggiustaveneri" entrarono in azione. Fred Hartt, ad esempio, lavorò con abnegazione assieme a Giovanni Poggi per portare in salvo i tesori degli Uffizi finiti in ville e rifugi di fortuna, e inoltre recuperò le statue michelangiolesche delle Tombe Medicee, da lui rinvenute per caso in un garage immerse in una spanna di gasolio. Dotato in una jeep diventata leggendaria (la «Lucky 13»), Hartt percorse in lungo e in largo la Toscana compiendo sopralluoghi spesso a ridosso del fronte. Nel dopoguerra rimase legatissimo a Firenze: nel 1966 corse in aiuto alla città colpita dall'alluvione e, più tardi, volle eleggerla a sua ultima dimora. Le sue ceneri riposano sulla collina di San Miniato.
Deane Keller, invece, si prodigò per la salvezza di Pisa, duramente colpita dai bombardamenti alleati, mentre Perry Cott raggiunse e prese in consegna buona parte del patrimonio di Brera. Quando Cott arrivò sul l'Isola Borromeo (dov'erano stipate moltissime casse braidensi) si congratulò con il funzionario italiano Gian Alberto Dell'Acqua per il modo eccellente con cui erano state conservate le opere. Dell'Acqua, confuso e lusingato, si sentì in dovere di invitare a pranzo l'ufficiale alleato dimenticando però che a casa sua non c'era più nulla da mangiare. Cott non si formalizzò: estrasse una «Razione K» e la mise in tavola. Quel giorno di pranzò in allegria: la guerra era veramente finita.
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Ilaria Dagnini Brey, «Salvate Venere! La storia sconosciuta dei soldati alleati che salvarono le opere d'arte italiane nella seconda guerra mondiale», Mondadori, Milano, pagg. 320, € 21,00.
In libreria dal 18 maggio.

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