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E Basquiat torna nel Far East

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In Primo Piano

E Basquiat torna nel Far East

di Ada Masoero
Il primo lampo di notorietà illuminò Jean-Michel Basquiat a nemmeno 18 anni, nel 1978, con un'intervista di Glenn O'Brien su una delle mille tv via cavo e no-budget della New York di quegli anni. Incuriosito dai graffiti "concettuali" – versi e aforismi tra il filosofico e lo stralunato – firmati «Samo ©» che si moltiplicavano sui muri di Soho, O'Brien scovò Basquiat («Samo ©» era un nome collettivo che includeva, ancora per poco, anche Al Diaz) e lo presentò pronunciando il nome «Sam-oh». Lui lo corresse: «Same-Oh: come same old shit». Salvo aggiungere subito: «Mister Samo, please». In queste poche battute c'è già tutto Basquiat: ironico e irridente ma fiero e consapevole di sé. E sempre urticante, abrasivo, feroce nei confronti del buon senso comune.
Oggi avrebbe 50 anni e la Fondazione Beyeler gli dedica una mostra strepitosa, curata dal suo direttore, Sam Keller, e da Dieter Buchhart. Insieme ai dipinti esposti nel 1983 da Ernst Beyeler nella collettiva «Expressive after Picasso» (a Basquiat toccò la copertina del catalogo), i curatori hanno riunito 150 sue opere, tutte magnifiche, molte provenienti da gelosissime collezioni private, che solo qui si potranno mai vedere, grazie al nome della Beyeler e alle relazioni con il collezionismo più esclusivo intrecciate da Sam Keller quando dirigeva Art Basel.
Entrare nella mostra è come immergersi nella vita di New York e venire sommersi dal brulichio di stimoli visivi, uditivi, olfattivi che la città regala a chiunque, insieme alla sua energia incontenibile. Accade ora ma accadeva allora più che mai, e specialmente a chi entrasse nella corrente impetuosa della vita di Soho o dell'East Village: un «Far East» multiculturale e multirazziale fatto di interi quartieri abbandonati dai «regular people» e colonizzati dai nuovi arrivati: pakistani, indiani, coreani, haitiani, portoricani... Una città creativa, anfetaminica, alternativa, dove si viveva con poco e tutto era consentito. Perfetta per i giovani creativi squattrinati.
A detta di chi gli era amico Basquiat era un genio. La morte precoce (a 27 anni, di overdose) certo ha accentuato la leggenda, ma i filmati del tempo restituiscono l'immagine di una figura carismatica, a dispetto della giovane età, di una presenza «elettrica» per l'energia che emanava, di un ragazzo sempre assediato da ragazze adoranti, amico di Andy Warhol, di Francesco Clemente (lavorò con entrambi), di Madonna. Le testimonianze parlano di un giovane uomo che succhiava sì stimoli e modelli dalla cultura di strada ma che leggeva Kerouac, sapeva di jazz, conosceva la storia dell'arte. Questo mix inedito di cultura e di sovversione, di sicurezze e di fragilità, di denaro e di marginalità (gli afroamericani erano ancora emarginati, per ricchi che fossero), emerge potente dai suoi lavori, creati in otto anni soltanto dal 1980, quando da graffitista diventò pittore, al 1988 quando morì. Gli studiosi, giustamente, hanno individuato diversi periodi creativi nel suo lavoro: oscillazioni e varianze, più marcate verso la fine quando la premonizione della morte si fa ossessiva e "svuota" le sue tele, fino all'acme di Riding with Death, ispirato a un disegno di Leonardo. Ma ciò che non viene mai meno è quella cifra così personale che, proprio come John Cage nella musica, lo porta a mischiare in una costruzione priva di ogni gerarchia cultura "alta" e cultura di strada, scelte stilistiche sorvegliate (come l'uso della cancellazione per evidenziare un dettaglio) e intrusioni di materiali extraartistici (come i bancali usati come telai). E cataloghi di parole ossessivamente ripetute. Tanto che per lui si è parlato di pittura rap. E poi teschi, scheletri, maschere ghignanti prestate dalla mitologia caraibica, pittogrammi, dettagli di testi di anatomia. Segni e parole a centinaia, a migliaia, stipati in dipinti che diventano brulicanti, convulsi "sillabari" della furia di vivere (e di morire) di un'intera generazione.
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1«Basquiat», Fondation Beyeler, Basilea; fino al 5 settembre.
Catalogo Fondation Beyeler - www.fondationbeyeler.ch.

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