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Caravaggio de' Medici

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In Primo Piano

Caravaggio de' Medici

di Cristina Acidini
La mostra «Caravaggio e caravaggeschi a Firenze» si svolge in due spazi d'eccellenza: un'infilata di stanze al primo piano degli Uffizi e la Sala Bianca in Palazzo Pitti. Inoltre è contemporanea a un'altra mostra, quella della Fondazione Longhi, nella Villa Bardini che domina i giardini d'Oltrarno. Cento quadri nelle due sedi museali (collegate da una "Caravaggio card" per agevolare l'ingresso dei visitatori), nei quali è racchiusa la storia dell'intera parabola caravaggesca: breve quella del maestro lombardo, conclusa dalla morte precoce nel 1610, appena più lunga quella dei seguaci, le cui fortune europee si concentrano nel primo trentennio del Seicento.
Nelle collezioni fiorentine, dai Medici al l'ondata dei caravaggeschi che il grande critico Roberto Longhi portò stabilendo qui la sua eccezionale raccolta, è rappresentato praticamente l'intero movimento. A partire dai quadri giovanili del Merisi, Bacco e Medusa così agli estremi della sensualità e del l'orrore, al Sacrificio d'Isacco del primo Seicento che stempera il dramma del primo piano nel raro fondale paesistico, all'efferato Cavadenti che vien qui posto all'origine dei quadri di "mezze figure a tavola" di Manfredi e van Honthorst (di solito più piacevoli), al pensoso Cavaliere di Malta, allo struggente Amorino addormentato, al magnetico Ritratto di cardinale della Gioviana, del quale si propone l'attribuzione per quanto emerso nel restauro. Anche per il vitale e ironico Maffeo Barberini di proprietà privata, che già il curatore della mostra Gianni Papi riteneva autografo, il restauro impone una riconsiderazione approfondita.
Agli Uffizi i visitatori sono accolti dalla Medusa, inamovibile per la fragilità del suo supporto ligneo convesso da "rotella", e dunque destinata a rimanere sotto lo stesso tetto a cui giunse come dono dell'ambasciatore a Roma cardinal Del Monte a Ferdinando I de' Medici; e dove il suo urlo tragico di decapitata fu abilmente motivato, col metterla al braccio di un'armatura orientale nell'Armeria.
Oggi, nel fare da immagine chiave della mostra, introduce a una magnifica e pausata sequenza di quadri. Si apre con i primi caravaggeschi, invitati dai Medici – la celebre Artemisia Gentileschi, Battistello Caracciolo, Theodor Rombouts – e si conclude con i pittori toscani come Commodi, Fontebuoni, Manetti, che si accostarono al caravaggismo pur senza mai aderirvi in esclusiva, attratti dalla novità di quel naturalismo che sciorinava iconografie intense e talora violente, personaggi disadorni o spavaldi, contrasti taglienti di luci e ombre; e una tavolozza cremosa, satura, affocata, bruciata, mai vista prima.
A metà del percorso, una ricostruzione virtuale suggerisce un episodio incompiuto del caravaggismo a Firenze, l'apparato pittorico della cappella Gucciardini in Santa Felicita, che non fu mai completato, ma che secondo il progetto avrebbe dovuto ospitare il quadro più grande, più balenante, più onirico di quel tempo: la notturna Resurrezione di Cristo di Cecco del Caravaggio (che non giunse a Firenze e oggi è a Chicago), capolavoro di Francesco Boneri – detto Cecco – dotatissimo seguace intrinseco del Merisi.
Sull'altra sponda dell'Arno, la Galleria Palatina ospita nel candido cuore della Sala Bianca (arroventata dal medesimo allestimento profondo rosso) tutti gli altri dipinti del Caravaggio e le tele di Manfredi, Cavarozzi, Ribera, Vouet e altri grandi.
Il fenomeno Caravaggio e seguaci si inserì nell'arte fiorentina del primo trentennio del Seicento, variegata da maniere diverse tuttora in cerca di definizioni più precise: la "normalità" narrativa dei riformati, lo stile fiorito alla Matteo Rosselli, la parlata celebrativa della decorazione murale, l'imitazione di tratti veneti e parmigiani, i recuperi dai pittori manieristi, finché Pietro da Cortona portò il Barocco nel 1636.
Ci si è chiesti, nell'organizzare la mostra, quale posto occupasse, e con quale apprezzamento, la potente espressione del naturalismo al tempo di Ferdinando I, di Cosimo II e poi delle reggenti. Un dato certo è il primato della corte nel ricevere, ricercare, commissionare e acquisire i dipinti della corrente caravaggesca, giacché la famiglia granducale offrì pressoché in esclusiva un'entusiastica accoglienza a quel movimento, mentre l'aristocrazia rimase tiepida e il pubblico generale, compresi molti artisti, indifferente. Lo stile caravaggesco fu una strada che si aprì dinanzi ai committenti e agli artisti ma che non fu percorsa, se non per breve tratto e fra reticenze.
Una storia dunque "molto" fiorentina, che mette in scena la ricorrente dialettica tra la classe dirigente e la popolazione, tra il "forestiero" e il locale, tra l'innovazione e la conservazione, tra la sperimentazione e la certezza: una dialettica che ben conosciamo e con la quale siamo abituati a convivere, predicendone perfino, con buon grado di approssimazione, gli esiti.
Soprintendente per il Patrimonio Storico,
Artistico ed Etnoantropologico
e per il Polo Museale della città di Firenze
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- «Caravaggio e i caravaggeschi a Firenze», Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti e Galleria degli Uffizi, fino al 17 ottobre. Catalogo Giunti-Sillabe;
- «Cavaraggio e la modernità. I dipinti della Fondazione Longhi», Villa Bardini, fino al 17 ottobre. Catalogo Sillabe.

Gli imitatori in EuropaChiaro-scuro olandese Attorno al 1610 soggiornò a Roma un gruppo di pittori olandesi potentemente influenzato dal chiaroscuro caravaggesco. Rientrati a Utrecht, i capiscuola Baburen, Honthorst e Terbrugghen diffusero al Nord lo stile caravaggesco, coinvolgendo altri artisti come Matthias Stomer (foto: La guarigione di Tobia, Raccolta Longhi), Hals, Rembrandt e Vermeer.
Giocatori alla francese Il gruppo di pittori francesi presenti a Roma già dal 1604 presero decisamente la via caravaggesca. Si chiamavano Valentin de Boulogne (foto: la Negazione di Pietro della Fondazione Longhi), Simon Vouet, Nicolas Tournier, Nicolas Regnier e Trophime Bigot. Attratto dal caravaggismo fu anche Georges de La Tour.
E i «fan» italiani Il naturalismo caravaggesco trovò, ovviamente, moltissimi seguaci anche in Italia, principalmente a Roma con Baglione, Saraceni, Borgianni, Caroselli (nella foto: L'Allegoria della vanità di casa Longhi) e a Napoli con Battistello Caracciolo, Mattia Preti e Jusepe Ribera.

Longhi, principe dei caravaggisti
Se Roma è stata la città della vita di Caravaggio, Firenze è stata quella della sua resurrezione. La mostra su «Caravaggio e i caravaggeschi a Firenze» a cura di S. Casciu, A. Natali e G. Papi (qui presentata dalla soprintendente di Firenze Cristina Acidini) racconta della precoce fortuna del Merisi e dei suoi seguaci presso la corte dei Medici e presso le collezioni nobiliari fiorentine. Ma la mostra allestita a Villa Bardini a cura di Mina Gregori e dedicata ai dipinti di Caravaggio e i caravaggeschi conservati nella collezione Longhi ci ricorda che la grandezza di Caravaggio e il suo ruolo primario nella storia della pittura europea vennero riconosciuti e compresi al principio del Novecento proprio a Firenze a opera di Roberto Longhi nella sua casa-museo-biblioteca di via Benedetto Fortini.
La mostra della Fondazione Longhi racconta infatti la riscoperta moderna del Caravaggio e dei caravaggeschi, rievocandone la storia attraverso la raccolta di Roberto Longhi, che di tale riscoperta è riconosciuto come il principale promotore e protagonista.
Longhi iniziò a occuparsi di Caravaggio fin dalla tesi di laurea (1911) e ne ricostruì le vicende biografiche e il catalogo delle opere attraverso scritti e mostre memorabili, dai Quesiti Caravaggeschi del 1929 alla mostra su Caravaggio a Palazzo Reale di Milano nel 1951.
Ma Longhi non si limitò solo a studiare Caravaggio e i caravaggeschi: laddove gli fu possibile acquisì sul mercato le opere d'arte di questi maestri, dal Fanciullo morso dal ramarro del Merisi, alle tele di Orazio Borgianni, Carlo Saraceni, Angelo Caroselli, Battistello Caracciolo, Mattia Preti, Valentin de Boulogne, Matthias Stomer e Jusepe Ribera (Maestro del Giudizio di Salomone), tutte esposte alla mostra di Villa Bardini.
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