di Marco Carminati
«Caro Theo, non posso farci nulla se i miei quadri non si vendono. Ma verrà il giorno in cui varranno più dei colori che ci metto e della mia stessa vita». A scrivere queste parole profetiche è Vincent van Gogh in una delle lettere indirizzate al fratello Theo. Nella vita di Vincent, Theo è la presenza in assoluto più importante e determinante dell'ambito familiare. È il confidente, il sostenitore economico, il principale destinatario delle lettere. La storia li ha cementati insieme come nella statua che li rappresenta abbracciati sulla piazza principale di Zundert, il paesetto dell'Olanda dove entrambi nacquero a metà Ottocento. Vincent e Theodorus, detto Theo, cominciarono a lavorare insieme all'Aia attorno al 1870. Grazie all'interessamento di uno zio materno, vennero assunti dalla ditta Goupil & C., una grossa azienda di commercio d'arte con sede a Parigi e filiali in tutta Europa. Com'è noto, Vincent non persevererà nella professione di commerciante d'arte, e dopo vari trasferimenti di sede e screzi con l'azienda, il futuro pittore riceverà una solenne lettera di licenziamento nel 1876. A guadagnarci sarà la storia della pittura.
Diversamente andarono le cose per Theo. Il giovane perseverò e fece strada all'interno della ditta diventando un eccellente mercante d'arte specializzato in opere di Corot, Monet, Degas, Sisley, Pissarro e Renoir. Dal suo lavoro Theo trasse il necessario per vivere e per mantenere lo strampalato fratello pittore che gli inviava quadri in cambio di soldi, quadri che Theo, come sappiamo, non riusciva a vendere.
Theo e Vincent si volevano bene e si intendevano, ma gli altri fratelli van Gogh come reagirono alla presenza in famiglia di questo genio bizzarro e inconcludente?
Vincent – nato nel 1853 – era il primogenito di sei fratelli: dopo di lui erano venuti al mondo la sorella Anna Cornelia (1855), il celebre Theodorus detto Theo (1857), Elisabeth Huberta detta Lies (1859), Willemina Jacoba detta Wil (1862) e da ultimo Cornelis Vincent detto Cor (1867).
Se si escludono i fitti contatti tra Vincent e Theo (documentati dalle oltre 650 lettere dell'epistolario pubblicato nel 1914), ben pochi sembrano essere stati i rapporti tra il pittore e gli altri parenti stretti. Al di là di Theo, l'unica familiare cui Vincent sembra davvero legato è la sorellina Wil, destinataria di 22 lettere e citata più volte anche nelle missive indirizzate alla madre. In realtà Vincent non s'accorse che in casa c'era qualcun'altro che lo osservava con curiosità, stupore e perplessità: questo qualcuno era la sorella Elizabeth Huberta detta Lies. Vent'anni dopo la morte del fratello, quando il genio artistico di Vincent era ormai universalmente riconosciuto, Lies sentì la necessità di mettere nero su bianco i suoi ricordi personali sul congiunto. Spremette le meningi e riuscì a buttar giù un centinaio di paginette che uscirono a stampa nel 1910 col titolo: Vincent Van Gogh. Persoonlijke berinnerngen aangaande een kunstenaar.
Ora, a cent'anni esatti dalla pubblicazione, le memorie di Elisabeth van Gogh rivedono la luce proprio in Italia a cura di Federica Ammiraglio. Intendiamoci bene, i ricordi di Lies non offrono grandi garanzie in termini di rigore filologico e di precisione biografica, e non sono neppure un testo capitale per la storia dell'arte. Ma hanno il pregio di essere una vivace testimonianza di prima mano in grado di offrire al lettore una sorta di foto istantanea, a tratti davvero penetrante, di una persona rude e solitaria, dotata di una sensibilità assolutamente fuori dal comune.
Nei ricordi di Elizabeth, Vincent è un fratello grande e distante. Lo descrive allampanato, estraneo, dall'aspetto sgraziato, eppure già capace di emanare i segni di una «profonda vita interiore». Tutti, in casa, ne hanno soggezione: i suoi fratelli non osano prenderlo in giro e neppure coinvolgerlo nei loro giochi. Lies, però, intuisce che questo ragazzo taciturno intrattiene un intenso e muto colloquio con il mondo circostante: «La Natura gli parlava. Con mille voci. Ma il suo tempo non era ancora giunto. Non pensava a disegnare, il futuro pittore».
Elisabeth ci racconta come Vincent avesse tentato di intraprendere senza successo le professioni di mercante d'arte, di insegnante di francese, e poi ancora di pastore protestante a servizio dei più poveri.
In casa i genitori seguivano con apprensione questo continuo mutare di indirizzo: «Le numerose lettere che inviava a casa – testimonia Elisabeth – lasciavano i nostri genitori sgomenti. A volte arrivavano due lettere nello stesso giorno, e se la posta ne consegnava una sul tardi, spesso significava per i poveri vecchi passare la notte insonni».
Quando Vincent mostra in famiglia alcuni schizzi fatti ai minatori nel Borinage, i genitori gli comperano immediatamente colori e pennelli e lo spediscono ad Anversa a frequentare una scuola d'arte. Sperano che quella sia la strada giusta per lui. Elizabeth ci ricorda che il fratello lavorava e dipingeva come un forsennato a contatto con la natura, e che Theo – nel frattempo diventato mercante – dimostrava di credere nel suo futuro d'artista.
A un certo punto Vincent prende la solenne decisione di partire per la Francia, dove già viveva e lavorava Theo. Elisabeth documenta il distacco totale: «Non lo rivedemmo più, né la madre, né le sorelle, né il fratello più piccolo che andava ancora a scuola… Intanto la fiamma del suo genio lo divorava e minava il suo fisico».
Nel descrivere la fine di Vincent, Elisabeth evita pudicamente di parlare del suicidio. Preferisce dilungarsi sulle toccanti esequie, descrivendo la bara ricoperta di girasoli e i molti artisti venuti da Parigi per accompagnarlo alla tomba. In calce alle memorie, la sorella confessa: «C'è voluto molto tempo prima che riuscissi a capire l'arte di Vincent van Gogh. Ma alla fine ho aperto gli occhi». Bontà sua.
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1Elisabeth van Gogh, «Vincent, mio fratello», Milano, Skira, pagg. 96, € 14,00. In libreria
dal 6 ottobre.
Van Gogh in famiglia
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