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Gorky ritrova il cuore armeno

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Gorky ritrova il cuore armeno

di Pietro Kuciukian
Esistono uomini che non possono essere strumentalizzati da nessuna etnia, da nessun popolo. Essi appartengono all'umanità intera per il contributo di arte e cultura che ci hanno dato. È il caso dell'artista di origine armena Arshile Gorky (pseudonimo di Vostanik Adoian) del quale Matthew Spender, figlio del poeta Stephen Spender, ricostruisce la biografia sullo sfondo di storie e memorie del lontano mondo armeno. Matthew Spender, scultore di fama mondiale che vive in Toscana, storico laureatosi a Oxford, marito di Maro Gorky, figlia di Arshile, ha raccolto per anni i documenti, ha fatto tradurre dall'armeno le lettere di Gorky, ha intervistato chi lo aveva conosciuto, i grandi artisti surrealisti, i responsabili delle gallerie d'arte, i parenti, gli amici.
È nata un'opera che tra le biografie dei personaggi famosi risulta tra le più originali, perché vissuta dall'interno, giorno per giorno, con pena, con affetto, ma anche con grande aderenza alla realtà; una ricerca della verità che non concede nulla al romanticismo, che fa emergere le contraddizioni e denuncia ogni tentativo di mitizzazione. Si avverte nella lettura dell'opera di Spender l'energia della preparazione documentaria, ma anche la passione dell'artista immerso nella bellezza e quindi capace di misurarsi con la profondità dell'opera d'arte. Arshile Gorky, pseudonimo adottato, come ricorda la figlia Maro, al tempo del mito di Stalin, forse per amore del grande artista russo Maxim Gorky (1868-1936), o più probabilmente perché gorky in russo significa «amaro». Sopravvissuto ai massacri e al genocidio armeno del 1915, lasciato con la madre il villaggio natale di Khorkom nei pressi del lago di Van, odierna Turchia, aveva raggiunto fortunosamente gli Stati Uniti.
Portava con sé il fardello della sua terra ferita e perduta, appesantito dalla condizione di esule. Ferite e memorie amare che non avevano spento la sua natura di artista. «Mio padre era un uomo semplice, un contadino rozzo con dentro alcune grandezze», afferma la figlia Maro. Tra mille ostacoli e difficoltà la vita di Gorky riprendeva nel Nuovo Mondo, alla ricerca del nuovo, in un sentire anticipatore dei grandi cambiamenti artistici del tempo. Espressionismo astratto la corrente nella quale rientra la sua opera, surrealismo che significa per lui e per il movimento dell'epoca una filosofia di vita, la conoscenza di sé. La sua opera ci trasmette un messaggio di verità: «chiunque tu sia, sii te stesso».
L'autore segue Gorky dall'infanzia alle strade dell'esilio, negli affetti familiari, nella vita disordinata nel Nuovo Mondo, nelle sue opere d'arte. Ricostruisce l'ambiente artistico del tempo con una profondità tale da invogliare il lettore ad avvicinarsi e a conoscere meglio l'arte contemporanea. Non vi è nulla di accademico nel libro, a meno di non intendere il termine nella sua accezione più alta, e qualche debolezza linguistica della traduzione italiana non inficia il valore dell'opera che diventa via via lettura appassionante. Arshile Gorky muore suicida nel 1948: la consapevolezza del male incurabile che quando cessa di essere strumento conoscitivo diventa disperazione, il silenzio di amici e conoscenti che non riescono a supplire alla mancanza di senso, il vuoto degli affetti familiari, una mano, non più utilizzabile, quella mano che era il solo elemento con cui, disegnando, poteva relazionarsi al mondo e liberare la sua anima. Resta il mistero che avvolge il gesto estremo di tanti grandi artisti.
La figura di Arshile Gorky è oggi negli Stati Uniti al centro del dibattito sul genocidio e rinasce il tentativo da parte della diaspora armena di strumentalizzazione. In realtà le pagine del genocidio appartengono alla storia di un popolo che ha dato e ancora può dare molto all'umanità. Un piccolo popolo privato nella storia di una territorialità stabile, ma ricco di un'appartenenza culturale, linguistica, religiosa che ne ha garantito la sopravvivenza. E Arshile Gorky, figlio di una terra tormentata, negato alla felicità del mondo, è una delle vie per avvicinare una «storia armena» che è parte della storia dell'umanità. André Breton dedicò a Gorky una poesia, L'adieu à Arshile Gorky, mentre Alain Jouffroy, poeta e critico d'arte scrisse per lui Arshile Gorky et les secrets de la nuit. Le maggiori opere di Gorky si trovano nel museo di Baltimora, al MoMA di New York e alla Fondazione Gulbenkian di Lisbona.
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1 Matthew Spender, «Una storia armena. Vita di Arshile Gorky», Barbès Editore, Firenze, pagg. 440, € 16,00.

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