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Croce di Giotto di nuovo a casa

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In Primo Piano

Croce di Giotto di nuovo a casa

di Antonio Paolucci
I primi di novembre, dopo dieci anni, la grande Croce dipinta (larga 379 cm, alta 467 cm, ma di misura superiore ai cinque metri quando era completa della base oggi mancante) ha lasciato il laboratorio della Fortezza da Basso ed è tornata a San Salvatore di Ognissanti, nella chiesa fiorentina che è sua da sette secoli.
Non era possibile ricollocarla al centro del tramezzo dove, leggermente inclinata in avanti, incombeva con tutta la sua fulgida imponenza sui fedeli intimoriti e stupiti, perché l'antico edificio gotico degli Umiliati non c'è più, radicalmente rinnovato nel Cinquecento e nel Seicento. È stata quindi esposta nella grande cappella sopraelevata del transetto sinistro, il solo spazio sopravvissuto alla originaria struttura trecentesca.
«Nel restauro c'è un tempo per la rapidità e un tempo per la lentezza», scrive Cristina Acidini in introduzione al volume che illustra il complesso intervento sulla croce di Ognissanti. In effetti, avere a disposizione nei laboratori della Fortezza il capolavoro che già il Ghiberti nei suoi Commentarii attribuiva a Giotto e la cui paternità ha affaticato generazioni di specialisti; saperlo affidato a maestri restauratori del prestigio e della sapienza di Ciro Castelli, di Ottavio Ciappi, di Paola Bracco e con loro a tutto lo staff tecnico scientifico dell'Opificio fiorentino, era una occasione che esigeva tempi lunghi, studi accurati, pause di riflessione e di approfondimento. Il risultato è un restauro impeccabile nella migliore tradizione della Fortezza. Il risultato è anche il libro curato da Marco Ciatti ed edito dalla Edifir con il titolo L'Officina di Giotto. Il restauro della Croce di Ognissanti.
Nel libro, accanto alla relazioni tecniche su un intervento che rimarrà un modello di metodo e che conferma la bravura di Marco Ciatti, l'unico che oggi in Italia ha le competenze e il prestigio per assumere la direzione dell'Opificio (spero che il ministro Bondi ne sia consapevole), accanto a questa splendida ulteriore dimostrazione dei variegati saperi e degli eccellenti mestieri presenti nel restauro fiorentino, ci sono saggi di autorevoli studiosi quali Giorgio Bonsanti, Arturo Carlo Quintavalle, Miklòs Boskovits.
La questione è quella di sempre. Chi era veramente Giotto? Quale è stata la sua formazione? Quali le opere che gli si possono con certezza attribuire? L'argomento è troppo vasto perché possa essere riassunto in poche righe. Certo è che si va velocemente consolidando negli studi contemporanei l'idea di "bottega giottesca" in sostituzione del tradizionale concetto di "scuola giottesca".
Non è una variante di poco conto. Vuol dire che la "ditta Giotto" licenziava opere di autografia variabile ma di qualità garantita dal progetto del Maestro e dal suo "marchio" aziendale. Dallo studio di Giotto dovettero uscire molte croci monumentali dipinte. Di queste – simili per iconografia, per dimensioni e per stile – sei sono arrivate fino a noi: le tre croci di Firenze (Ognissanti, Santa Maria Novella e San Felice in Piazza), di Padova, del Louvre e di Rimini.
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