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I balocchi dei grandi

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In Primo Piano

I balocchi dei grandi

di Fulvio Irace
Per il giovane Pablito Picasso il carretto che il padre Pablo gli aveva costruito intagliando il legno e decorandolo con grandi triangoli in bianco e nero era un giocattolo come tanti altri, da usare senza particolari riguardi per la fama dell'illustre genitore. Anche per il piccolo Felix Klee le più di 50 marionette che per dieci anni il padre aveva preso l'abitudine di confezionargli con tutti i più strani materiali che gli capitavano tra le mani (fili elettrici, spazzole, noci e ossa di animale) costituivano il divertimento di una sera, l'attimo incantato di una rappresentazione che lo avrebbe accompagnato nelle sfrenate fantasie di un sogno a colori. Certo, nessuno di loro avrebbe mai immaginato di trovarseli esposti nelle sale di un museo davanti a un pubblico di adulti come oggetti finalmente sdoganati dalla dimensione intimistica del mondo dell'infanzia cui erano stati a lungo relegati, come una sorta di complice divertimento familiare.
Sono infatti i giocattoli d'artista al centro della grande esposizione organizzata al Museo Picasso di Malaga: più di 400 oggetti prodotti agli albori della Modernità da una costellazione insospettabile di artisti (El Lisskitsky, Mirò, Depero, Cartier-Bresson, Balla, Rodchenko, Torres-Garcìa, eccetera) attivi nelle più varie latitudini del secolo breve, dall'Italia fascista alla Russia bolscevica, dalla Germania della Repubblica di Weimar alla Francia dei surrealisti alla Svizzera dei dadaisti.
È infinita e piena di sorprese la "toy story" dell'arte del XX secolo, quando – nel mezzo dei più feroci stravolgimenti politici – burattini, bambole e marionette diventarono i protagonisti di audaci sperimentazioni figurative e teatrali: campo aperto alle incursioni di tutte quelle avanguardie decise a sfondare i limiti dei generi e a saggiare tutte le implicazioni di un'energia creativa libera dagli schemi dell'arte tradizionale. Burattini e marionette diventarono così protagonisti di considerevoli sperimentazioni figurative e teatrali. Grosz, Paul Klee, Kandinsky, la scuola del Bauhaus, Appia, Gordon Craig si avvicinarono a questo universo allusivo fatto di materia, movimento, gesto, musica e colore. Per le avanguardie del Novecento, il tema del gioco rappresentava la discesa nell'inconscio dell'arte, nel mondo puro delle forme non ancora soggette alle restrizioni dell'Io: come le maschere africane per Picasso o Modigliani, i disegni dell'infanzia erano l'esotico dentro di noi, il concentrato puro di un ego espansivo e senza i limiti imposti all'adulto dal principio freudiano di realtà.
Infatti, il vero sogno delle avanguardie – ma paradossalmente anche delle tirannie del XX secolo – era quello di creare dal nulla un'umanità nuova: il suo simbolo era il fanciullo che, come nell'utopia illuminista di Rousseau, poteva essere plasmato sin dalla tenera età generando, da adulto, l'«uomo nuovo». Oscar Schlemmer – l'inventore dei famosi «balletti triadici» al Bauhaus di Dessau – riteneva ad esempio che la nobiltà delle marionette risiedesse nel loro essere una controparte di Dio, mentre, da una prospettiva forse più laica, Fortunato Depero nel manifesto della Ricostruzione futurista dell'universo – scritto insieme a Balla quando la Prima guerra mondiale era già scoppiata – dedicò al "giocattolo futurista" un'apposita sezione. La ricetta per il bambino futurista prevedeva giochi ( pieni di trucchi esagerati, di forme assurde e di colori squillanti) che lo abituassero all'elasticità e allo slancio immaginativi. Arte ed educazione corrono sui binari paralleli e la speranza di creare una nuova sensibilità capace di assorbire il trauma dell'Industria si tradusse nell'invenzione di giocattoli meccanici dove persino l'automazione del corpo potesse produrre, come nella famosa Olimpia di E.T. Hoffmann, una magnetica, affascinante bellezza.
La mostra indaga dunque anche su queste relazioni, facendo appello ai numerosi progetti per bambini apparsi in Europa, come la mostra organizzata nel 1926 a Parigi da Blaise Cendrars, ricostruita in parte in una sala che espone libri, fotografie, posters per l'infanzia prodotti dagli artisti delle avanguardie russe durante i primi anni della rivoluzione sovietica. Infatti non tutti i giocattoli della mostra furono concepiti per uso personale. Come i fotolibri di Edward Steichen, ad esempio, o i blocchi da costruzione dell'artista uruguaiano Torres Garcia, pensati per diventare prodotti di massa a disposizione delle nuove teorie pedagogiche. Fantasie d'artista? Forse. Ma Frank Lloyd Wright non aveva forse scritto che senza i giochi froebeliani donatigli nel 1876 dalla madre, non sarebbe mai diventato architetto? «Blocchetti da costruzione in acero, dalle forme lisce e definite – ricordava – miei, tutti, per giocare! Me li sento ancora oggi sotto le dita».
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1«Toys of the Avant Garde», Malaga, Museo Picasso, fino al 4 gennaio 2011.

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