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PALAZZO MARINO E LA MONACA DI MONZA

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PALAZZO MARINO E LA MONACA DI MONZA

Il genovese Tomaso Marino (1475- 1572) e il cadorino Tiziano Vecelio (1488-1576) erano quasi coetanei, entrambi vissero a lungo e morirono in una situazione economica disperata. Le loro umane vicende potrebbero essersi incrociate ben prima di questo evento, che fino al 6 gennaio vede La donna allo specchio del celebre pittore ospite nel Palazzo del potente banchiere.
L'anno dopo la morte di Tiziano, a Venezia, l'amministrazione pubblica milanese confisca ai Marino il loro Palazzo su piazza della Scala e la storia di queste pietre, sagomate dall'architetto perugino Gaetano Alessi (1512-1572) con stucchi, erme femminili, teste di ariete, cariatidi, busti e chimere alate, racconta l'inizio e la fine di un sogno. Ma anche l'incubo della giovane nipote di Tomaso, Marianna De Leyva, divenuta suor Virginia e destinata a fama imperitura con il sinistro titolo di "Monaca di Monza".
Tomaso muore un anno prima di vedere la bancarotta della sua famiglia, debitrice alla Corona di Spagna di 253.913 scudi (circa 15 milioni di euro). Il Palazzo viene venduto ai banchieri Omodei, poi riacquistato dallo Stato nel 1781; il primo sindaco a trasferirvi la residenza municipale sarà Antonio Beretta nel 1861.
Il Marino lo aveva fatto costruire nel 1558, quando aveva 83 anni e non si sentiva affatto vecchio. La prima pietra fu posta il 4 maggio nell'angolo verso San Fedele; il lato verso il Teatro alla Scala rimase, invece, incompiuto e sarà ultimato da Luca Beltrami (1892), seguendo il progetto originario dell'Alessi.
L'edificio, a forma trapezoidale, si articola all'interno in due cortili che conservano intatto l'incanto di uno scenario fiabesco; ancora oggi fiancheggiano le strade perimetrali di via Caserotte e via Marino e serrano al centro la grande sala dell'Alessi. Bombardata nel 1943 e ricostruita nel 1954, era affrescata con storie mitologiche dai genovesi Semino (1568) e destinata agli incontri di prestigio e rappresentanza: nel 1873 furono le spoglie di Alessandro Manzoni a ricevere l'ultimo tributo dei cittadini. La sala dell'Alessi rispecchia il gusto manierista in voga in Europa alla fine del XVI secolo, con le Muse e le Quattro Stagioni. Il cielo è sorretto dalle Cariatidi, mentre due grandi portali sui lati minori ospitano i busti di Marte e di Minerva. Sopra le finestre quattro bassorilievi illustrano l'Aurora, il Giorno, il Crepuscolo e la Notte e, lungo la volta, altri quattro simboleggiano l'Aria, la Terra, l'Acqua e il Fuoco. Una cosmogonia elementare che bene si addice ai potenti dell'epoca, in cui l'intelligenza (Minerva) e lo spirito guerriero (Marte) erano sempre accompagnati dal gusto per l'arte e per i bello (le Muse).
Nel 1563 Tomaso Marino ha 88 anni e una ricchezza spropositata, basata su crediti non sempre esigibili e stimata nell'ordine di due milioni d'oro. Il suo Palazzo, del tutto inusuale per Milano, gareggia con le migliori corti dell'intera cristianità. Il cortile d'onore, miracolosamente scampato ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, si sviluppa su due livelli e un loggiato, ornato da ricchi bassorilievi: al piano nobile sono raffigurati episodi delle Metamorfosi di Ovidio e la celebrazione dell'amore, a quello inferiore le Imprese di Ercole e il trionfo dell'eroismo. Ma il cortile diventa ben presto teatro di tragici eventi; nel 1563 Andrea, il secondogenito quattordicenne, uccide un servo del fratello Nicolò che, due anni dopo, ammazza la bella moglie spagnola per gelosia. Cresciuti in mezzo al lusso più sfrenato, sono viziati e prepotenti; ogni giorno incrociano nel Palazzo decine di sgherri al servizio dell'azienda, usi a ogni violenza contro i poveri debitori. Dopo il fattaccio, Andrea si costituisce, paga una cauzione di 25.000 scudi (il valore di un immobile di prestigio dell'epoca) e ottiene gli arresti domiciliari. Di Nicolò, invece, si perdono le tracce e il padre lo disereda.
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