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L'artista installa colossi «da paura»

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L'artista installa colossi «da paura»

Parigi, Venezia, Milano: qui sono cresciute in queste settimane tre immense installazioni di Anish Kapoor, in siti diversissimi fra loro ma tutti ugualmente temibili per un artista per le loro dimensioni smisurate e per la carica simbolica di cui sono portatori. Kapoor ha accettato la sfida e a Parigi, per «Monumenta 2011», ha interamente occupato l'invaso colmo di luce della Nef del Grand Palais – simbolo un po' borioso di quella Belle Epoque in cui la città era l'indiscussa capitale del mondo – con l'immenso volume rosso-violaceo di Leviathan: un nome minaccioso per quello che si presenta come un grembo materno, opaco all'esterno ma diafano e sanguigno dall'interno, che inabissa il visitatore in un mondo organico e primordiale, risucchiandolo in una tempesta di emozioni primarie (fino al 23 giugno; www.monumenta.com). A Venezia, nella basilica di San Giorgio Maggiore, eretta dal Palladio in una città che viveva l'apice della sua gloria, si libra invece l'aerea Ascension. Per la Biennale Kapoor non ha creato un'opera nuova ma ha scelto con Lorenzo Fiaschi (di Galleria Continua) un'opera già presentata altrove – la prima volta a San Gimignano, proprio con Continua, che promuove ora l'evento con illycaffè – ma qui ripensata per orchestrarsi con i perfetti volumi palladiani: un alto getto di fumo, quasi un'incorporea colonna, ma anche un "respiro" che evoca lo pneuma, il soffio divino della tradizione cristiana (dal 31 maggio al 27 novembre; www.arteallarte.org).
A Milano infine il colossale Dirty Corner ha invaso la "Cattedrale" della Fabbrica del Vapore, tempio del lavoro operaio e segno eloquente del tempo in cui la città diventava la capitale industriale d'Italia: Kapoor ne ha trapassato gli spazi con un monumentale condotto percorribile di acciaio corten, opaco e rugginoso, e si è affidato alla modalità linguistica prediletta della dualità, fondendo il simbolo maschile del lungo cilindro con una fenditura, segno archetipo del femminile, che si manifesta nel dilatarsi accogliente dell'imboccatura. Ma ecco che una volta penetrati, a metà percorso, una perturbante "grandinata" di terra rosso-Kapoor si abbatte sul cilindro, creando inquietudine nel visitatore, mentre all'esterno si forma una "montagna" conica, che rievoca in dimensioni ingigantite i suoi primi, vibranti lavori realizzati con i pigmenti puri.
L'installazione Dirty Corner, promossa dalle gallerie Continua, Lisson e Massimo Minini, non è però che uno dei due bracci della grande mostra prodotta dalla città di Milano con Madeinart e curata da Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni che si apre dopodomani in due sedi: la Fabbrica del Vapore appunto (fino all'8 gennaio) e la Rotonda della Besana (fino al 9 ottobre; www.anishkapoormilano.com), dove trovano posto opere dell'ultimo decennio. Anche qui l'accento è posto con forza sul dialogo con lo spazio, da tempo al centro del suo lavoro: il grandioso disco corrugato di cera rossa di My red homeland, 2003, rimodellato incessantemente dal braccio rotante, occupa infatti per intero l'incrocio dei bracci della chiesa e tutt'intorno si riverberano l'uno nell'altro gli "spazi specchianti" delle sue opere in lucido acciaio nelle quali, alterati e inquieti, si riflettono architettura e visitatori, mentre sembrano spalancarsi in esse varchi allarmanti verso una dimensione ulteriore. Kapoor mette così in atto ancora una volta – e servendosi paradossalmente non del buio ma dello squillare della luce – quella «nozione visuale di paura, di sensazione del precipitare, di perdere il senso di se stessi» da cui ammette di essere da sempre attratto, ma che ha iniziato a praticare soprattutto dal momento in cui ha scelto di lavorare più con lo spazio che con il colore, inseguendo – come ama dire – sempre nuovi e diversi «stati dell'essere».
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